venerdì 7 luglio 2017

Le parole semplici che abbiamo scordato



Nel capolavoro di Ermanno Olmi, «L'albero degli zoccoli», a un certo punto un uomo con disabilità mentale, quello che ai tempi veniva chiamato lo scemo del villaggio, entra in una casa di quei poveri contadini che sono poi i protagonisti del film. 

Entra per chiedere un pezzo di pane e i bambini cominciano a ridere della sua condizione, lo scherzano. 
La loro mamma interviene e li sgrida: «No bambini, non va bene ridere. 

Quei poveretti lì, che non hanno niente dalla vita, sono quelli più vicini al Signore».
Vengono spontanee queste due domande: 


Quanto abbiamo guadagnato, in condizioni economiche, rispetto a quei tempi? 

Quanto abbiamo perduto, se è vero che oggi lo scherno, il dileggio, perfino l'insulto mortale contro le persone più sfortunate si è fatto "virale", come si usa dire nell'un po' stupido linguaggio dei social? 

Se è vero che la tecnologia ha amplificato, oltre che le possibilità di fare del bene, quelle di fare del male; se è vero, soprattutto, che i bambini e i ragazzi di oggi hanno sempre meno genitori del tipo di quella mamma che vede, nei più sfortunati, «i più vicini al Signore».
A tal proposito, viene in mente la storia di un ragazzina parmigiana di sedici anni, costretta dalla nascita su una sedia a rotelle, esclusa dai compagni di classe dalla cena di fine anno scolastico. 
La motivazione, ma forse sarebbe meglio dire il pretesto, è stata la seguente: «Se vieni, devi essere accompagnata dai genitori, e noi non vogliamo genitori tra i piedi». 
Invano quella ragazza ha provato a spiegare che i genitori l'avrebbero solo accompagnata, e poi se ne sarebbero stati in disparte. 
Invano. I compagni di classe hanno cominciato a tempestarla, sul gruppo di WhatsApp, di messaggi sempre più decisi, anche volgari, per indurla a restare a casa. 

Alla fine, hanno preferito rinunciare alla cena piuttosto di correre il rischio di avere quella sgradita compagnia.
Non abbiamo il diritto di giudicare nessuno, tanto meno di condannare, tenendo presente che stiamo parlando di ragazzi di sedici anni. 

Ragazzi che dovrebbero essere guardati come fossero i nostri figli, come se fossimo in un tempo lontano, provando per loro, forse, ancor più compassione di quella che dovremmo provare per la loro compagna esclusa, perché non sanno, non capiscono quanto sarebbe stata più bella, per loro, una cena con la compagna disabile. 
Non sanno quanta gioia avrebbero regalato a quella loro coetanea, quanto l'avrebbero fatta sentire importante, o se volete "uguale"; e al contrario non sanno, non immaginano, quanto dolore le abbiano dato. 

Non sanno e non capiscono quanto hanno perso, innanzitutto, loro stessi.
Non è colpa loro. 

Qual è il mondo in cui vivono? 
Una ragazza toscana - Ilaria Bidini, 28 anni, costretta su una sedia a rotelle da una malattia genetica - ha avuto il coraggio di rendere pubblici gli insulti che quotidianamente riceve sui social: «Miss Toscana della bruttezza», «nanoide», «handicappata deforme», e così via. 
Il video in cui denuncia queste violenze è visibile su YouTube. 
Ma come è stato possibile che siamo arrivati a questa barbarie? 
Che cosa abbiamo smarrito? 
Forse le parole che nell'Albero degli zoccoli una suora rivolge ai due giovani sposi quando chiede loro di adottare un bimbo di un anno rimasto senza genitori: «Ci si deve soccorrere a vicenda a questo mondo».

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