La dislessia è un disturbo specifico della lettura che
si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo.
Quali sono i segnali a cui i genitori dovrebbero
prestare attenzione?
In età prescolare, alcuni segnali potrebbero essere un
ritardo del linguaggio e la difficoltà a esprimersi.
Alla scuola dell’infanzia è difficile per un genitore
intuire future difficoltà di apprendimento della lettura: per esempio la voglia
o meno di giocare con suoni e parole, che è uno degli indicatori delle
successive abilità di lettura, è difficilmente visibile.
In prima elementare, scrivere parole invertendo le
lettere e fare più errori degli altri, leggere con estrema lentezza e fatica,
scambiare una lettera con un’altra e un suono con un altro, sono segnali di
difficoltà di apprendimento ma non per forza e unicamente di dislessia.
Per esempio il non voler andare a scuola, il
disinteresse e il rifiuto per le attività di lettura e scrittura assegnate
dagli insegnanti, il mancato miglioramento nel corso dell’anno scolastico, che
può voler dire continuare a leggere ancora per sillabe e fare grande difficoltà
nell’associare a una lettera un suono e viceversa sono altri segnali di
difficoltà che è importante prendere sul serio.
Va ricordato però che c’è un’enorme variabilità
individuale nei tempi di acquisizione della capacità di scrittura e di lettura
e che fino alla fine della seconda elementare non è possibile fare una diagnosi
definitiva.
Quindi prima di fare visite specialistiche meglio
aspettare di accertarsi che la difficoltà non sia transitoria.
Anche se questo non significa che non si possa
sostenere il proprio figlio/a nell’affrontare quelle difficoltà che incontra
nel familiarizzare con la lettura e la scrittura.
Anzi. La collaborazione con le insegnanti può
essere fondamentale, per curare maggiormente questa area di apprendimento e
poter valutare serenamente se la situazione migliora prima di una valutazione
clinica.
Per i bambini e le bambine che hanno una storia di
difficoltà pregresse (per esempio, se hanno iniziato tardi e male a parlare
e a disegnare) o hanno fratelli/sorelle con DSA la probabilità che si
tratti effettivamente di un disturbo dell’apprendimento è più alta.
In questi casi allora viene suggerito di consultarsi
con il pediatra per valutare tempestivamente l’opportunità di rivolgersi a un
neuropsichiatra infantile per avviare una valutazione diagnostica.
Che cosa possono fare i genitori quando
temono che il figlio abbia un disturbo di apprendimento?
Dovrebbero sostenere lo sviluppo delle abilità di
lettura sia in classe sia a casa, attraverso attività che lo interessino e lo
stimolino a leggere evitando eccessiva frustrazione per vedere se
migliora.
Se alla fine del primo anno di scuola la
situazione è invariata, serve una visita da un neuropsichiatra infantile che
valuti la possibilità che si tratti di una dislessia e suggerisca il percorso
valutativo e di intervento più adeguato.
Anche se la diagnosi definitiva si fa alla fine della
seconda elementare, quando tutti i bambini dovrebbero aver imparato a leggere e
scrivere bene, prima si interviene meglio è.
Insieme alle maestre allora si possono proporre una
serie di giochi, tipo enigmistica, con cui si può far riflettere il bambino
sulla composizione delle parole, su come sono distribuite le lettere al loro
interno. E anziché insistere a far leggere più volte, con gran fatica, lunghi
testi, meglio privilegiare testi diversi e brevi.
Fin dalla primissima infanzia ai genitori si raccomanda
di dedicare del tempo alla lettura ad alta voce perché favorisce, tra le altre
cose, l’apprendimento di lettura e scrittura.
Ben venga questa bella abitudine, ma quanto però
questa pratica riduca la presenza di dislessia non è noto.
In ogni caso, fatta la diagnosi, il team
multidisciplinare competente provvede a dare le opportune indicazioni per la
riabilitazione.
A chi bisogna rivolgersi per avere una
diagnosi?
Come si legge sul sito dell'Ospedale pediatrico Bambio
Gesù di Roma, quando il genitore sospetta un disturbo di lettura, scrittura o
calcolo, spesso anche su segnalazione degli insegnanti, è bene rivolgersi al
pediatra per ricevere indicazioni sulla opportunità del percorso da
intraprendere.
Per ricevere una diagnosi è necessario comunque
rivolgersi alla ASL di appartenenza dove un’équipe multidisciplinare formata
dal neuropsichiatra infantile, dallo psicologo e dal logopedista con esperienza
sui Disturbi Specifici di Apprendimento svolge la valutazione clinica che porta
all'eventuale diagnosi.
Dalla dislessia non si guarisce ma si può fare molto
per aiutare il bambino
Le difficoltà specifiche dell'apprendimento in
parecchi casi si possono compensare con strategie mirate, tanto che molti
bambini opportunamente seguiti da uno specialista e con un'adeguata terapia,
riescono a essere abbastanza autonomi nello studio.
È molto importante però che i genitori li sostengano
nell'autostima: non facendoli sentire sbagliati o inadeguati, spronandoli a
coltivare anche attività extrascolastiche dove possano esprimere liberamente sé
stessi.
La dislessia è classificata tra i disturbi specifici
dell’apprendimento.
Un disturbo che si può modulare e si può
imparare a gestire.
Le difficoltà di lettura di una bimba di
terza elementare sono diverse da quelle di una studentessa universitaria: nel
tempo le difficoltà si riducono grazie alla terapia e all’esposizione a lettura
e scrittura che accompagna la crescita, anche se la lettura rimane un’attività
che costa un po’ di fatica in più, in termini di energie mentali e
cognitive.
Ma questo non impedisce di imparare, comprendere,
andare bene a scuola, laurearsi, ecc. .
Per aiutare i bambini dislessici, a scuola è prevista
l’adozione di strategie compensative e dispensative per evitare appunto che la
difficoltà di lettura pregiudichi pesantemente l’apprendimento in generale.
Con gli interventi riabilitativi mirati invece si fa
in modo che la lettura migliori, sia tenendo conto delle difficoltà specifiche
del bambino sia rafforzando i meccanismi cognitivi e neuropsicologici
sottostanti, lavorando quindi sulla memoria, la capacità di attenzione, e cosi
via, ricordando che i dislessici sono bambini intelligenti e devono imparare e
poter esprimere le proprie potenzialità anche se fanno fatica leggere.
Una raccomandazione per i genitori: le difficoltà nell'apprendimento non vanno mai interpretate come
svogliatezza, scarso impegno o pigrizia.
II bambino va supportato emotivamente, sottolineando
il più possibile le sue aree di forza, ed evitando di focalizzare l'attenzione
sulla prestazione e sui risultati scolastici.
Dalla scuola e dagli insegnanti si può
pretendere che conoscano e applichino la legge 170/2010 e quindi,
di fronte a una certificazione di dislessia, attivino il percorso didattico
personalizzato che la legge prevede.
Se tutto ciò non dovesse avvenire nei
tempi previsti, i genitori possono sollecitare i dirigenti scolastici affinché
si provveda.
Non ricorrere agli strumenti compensativi
e dispensativi significa infatti gravare sul percorso scolastico del bambino
dislessico e demotivarlo con ripercussioni anche sul piano emotivo” chiarisce
la neuropsichiatra infantile.
Le norme ministeriali stabiliscono per
esempio che i bambini abbiano più tempo per fare i compiti scritti, che possano
usare il computer in classe con un correttore ortografico, che siano valutati
sulla base di interrogazioni orali, che non debbano leggere a voce alta di
fronte ai compagni, né copiare dalla lavagna perché per loro queste attività
comportano una fatica immensa.
Nella legge 170/2010 sono
citati gli strumenti compensativi e le misure dispensative che hanno lo
scopo di garantire l'autonomia dello studente.
Gli strumenti compensativi sono tutti i
mezzi, digitali e non, di cui l’alunno dislessico può avvalersi per superare le
proprie difficoltà nella scrittura, lettura...
Possono comprendere:
◦ mappe concettuali
◦ registrazione delle lezioni;
◦ testi in digitale e sintesi vocale;
◦ uso della calcolatrice
Uno studente dislessico che usa gli
strumenti compensativi è come un miope che utilizza gli occhiali.
Questa metafora serve a spiegare la natura
dello strumento compensativo.
Non è una facilitazione: in quanto non
rende meno oneroso lo studio della materia.
Non è un vantaggio: in quanto non pone chi
lo utilizza in una posizione privilegiata rispetto a gli altri.
Mentre le misure
dispensative permettono allo studente di svolgere con alcuni
accorgimenti (o non svolgere) alcune attività che risultano particolarmente
difficili a causa del proprio DSA.
Possono comprendere:
◦ interrogazioni programmate;
◦ verifiche orali e non scritte;
◦ tempi supplementari per lo svolgimento
delle prove;
◦ valutazione dei contenuti, non della
forma;
◦ dispensa dal copiare e dal prendere
appunti;
◦ dispensa dall'uso del corsivo.
Per concludere, si
suggerisce ai genitori di consegnare subito la diagnosi alla scuola,
farla protocollare e richiedere il Piano didattico personalizzato.
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