venerdì 8 dicembre 2017

Dislessia, come intervenire





La dislessia è un disturbo specifico della lettura che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo.


Quali sono i segnali a cui i genitori dovrebbero prestare attenzione?
In età prescolare, alcuni segnali potrebbero essere un ritardo del linguaggio e la difficoltà a esprimersi. 
Alla scuola dell’infanzia è difficile per un genitore intuire future difficoltà di apprendimento della lettura: per esempio la voglia o meno di giocare con suoni e parole, che è uno degli indicatori delle successive abilità di lettura, è difficilmente visibile.
In prima elementare, scrivere parole invertendo le lettere e fare più errori degli altri, leggere con estrema lentezza e fatica, scambiare una lettera con un’altra e un suono con un altro, sono segnali di difficoltà di apprendimento ma non per forza e unicamente di dislessia. 
Per esempio il non voler andare a scuola, il disinteresse e il rifiuto per le attività di lettura e scrittura assegnate dagli insegnanti, il mancato miglioramento nel corso dell’anno scolastico, che può voler dire continuare a leggere ancora per sillabe e fare grande difficoltà nell’associare a una lettera un suono e viceversa sono altri segnali di difficoltà che è importante prendere sul serio. 
Va ricordato però che c’è un’enorme variabilità individuale nei tempi di acquisizione della capacità di scrittura e di lettura e che fino alla fine della seconda elementare non è possibile fare una diagnosi definitiva. 
Quindi prima di fare visite specialistiche meglio aspettare di accertarsi che la difficoltà non sia transitoria. 
Anche se questo non significa che non si possa sostenere il proprio figlio/a nell’affrontare quelle difficoltà che incontra nel familiarizzare con la lettura e la scrittura. 
Anzi. La collaborazione con le insegnanti può essere fondamentale, per curare maggiormente questa area di apprendimento e poter valutare serenamente se la situazione migliora prima di una valutazione clinica.
Per i bambini e le bambine che hanno una storia di difficoltà pregresse (per esempio, se hanno iniziato tardi e male a parlare e a disegnare) o hanno fratelli/sorelle con DSA la probabilità che si tratti effettivamente di un disturbo dell’apprendimento è più alta. 
In questi casi allora viene suggerito di consultarsi con il pediatra per valutare tempestivamente l’opportunità di rivolgersi a un neuropsichiatra infantile per avviare una valutazione diagnostica.

Che cosa possono fare i genitori quando temono che il figlio abbia un disturbo di apprendimento?
Dovrebbero sostenere lo sviluppo delle abilità di lettura sia in classe sia a casa, attraverso attività che lo interessino e lo stimolino a leggere evitando eccessiva frustrazione per vedere se migliora. 
Se alla fine del primo anno di scuola la situazione è invariata, serve una visita da un neuropsichiatra infantile che valuti la possibilità che si tratti di una dislessia e suggerisca il percorso valutativo e di intervento più adeguato. 
Anche se la diagnosi definitiva si fa alla fine della seconda elementare, quando tutti i bambini dovrebbero aver imparato a leggere e scrivere bene, prima si interviene meglio è.
Insieme alle maestre allora si possono proporre una serie di giochi, tipo enigmistica, con cui si può far riflettere il bambino sulla composizione delle parole, su come sono distribuite le lettere al loro interno. E anziché insistere a far leggere più volte, con gran fatica, lunghi testi, meglio privilegiare testi diversi e brevi. 
Fin dalla primissima infanzia ai genitori si raccomanda di dedicare del tempo alla lettura ad alta voce perché favorisce, tra le altre cose, l’apprendimento di lettura e scrittura. 
Ben venga questa bella abitudine, ma quanto però questa pratica riduca la presenza di dislessia non è noto.
In ogni caso, fatta la diagnosi, il team multidisciplinare competente provvede a dare le opportune indicazioni per la riabilitazione.

A chi bisogna rivolgersi per avere una diagnosi?
Come si legge sul sito dell'Ospedale pediatrico Bambio Gesù di Roma, quando il genitore sospetta un disturbo di lettura, scrittura o calcolo, spesso anche su segnalazione degli insegnanti, è bene rivolgersi al pediatra per ricevere indicazioni sulla opportunità del percorso da intraprendere. 
Per ricevere una diagnosi è necessario comunque rivolgersi alla ASL di appartenenza dove un’équipe multidisciplinare formata dal neuropsichiatra infantile, dallo psicologo e dal logopedista con esperienza sui Disturbi Specifici di Apprendimento svolge la valutazione clinica che porta all'eventuale diagnosi.
Dalla dislessia non si guarisce ma si può fare molto per aiutare il bambino
Le difficoltà specifiche dell'apprendimento in parecchi casi si possono compensare con strategie mirate, tanto che molti bambini opportunamente seguiti da uno specialista e con un'adeguata terapia, riescono a essere abbastanza autonomi nello studio. 
È molto importante però che i genitori li sostengano nell'autostima: non facendoli sentire sbagliati o inadeguati, spronandoli a coltivare anche attività extrascolastiche dove possano esprimere liberamente sé stessi.
La dislessia è classificata tra i disturbi specifici dell’apprendimento. 
Un disturbo che si può modulare e si può imparare a gestire. 
Le difficoltà di lettura di una bimba di terza elementare sono diverse da quelle di una studentessa universitaria: nel tempo le difficoltà si riducono grazie alla terapia e all’esposizione a lettura e scrittura che accompagna la crescita, anche se la lettura rimane un’attività che costa un po’ di fatica in più, in termini di energie mentali e cognitive. 
Ma questo non impedisce di imparare, comprendere, andare bene a scuola, laurearsi, ecc. .
Per aiutare i bambini dislessici, a scuola è prevista l’adozione di strategie compensative e dispensative per evitare appunto che la difficoltà di lettura pregiudichi pesantemente l’apprendimento in generale.
Con gli interventi riabilitativi mirati invece si fa in modo che la lettura migliori, sia tenendo conto delle difficoltà specifiche del bambino sia rafforzando i meccanismi cognitivi e neuropsicologici sottostanti, lavorando quindi sulla memoria, la capacità di attenzione, e cosi via, ricordando che i dislessici sono bambini intelligenti e devono imparare e poter esprimere le proprie potenzialità anche se fanno fatica leggere.
Una raccomandazione per i genitori: le difficoltà nell'apprendimento non vanno mai interpretate come svogliatezza, scarso impegno o pigrizia. 
II bambino va supportato emotivamente, sottolineando il più possibile le sue aree di forza, ed evitando di focalizzare l'attenzione sulla prestazione e sui risultati scolastici.
Dalla scuola e dagli insegnanti si può pretendere che conoscano e applichino la legge 170/2010 e quindi, di fronte a una certificazione di dislessia, attivino il percorso didattico personalizzato che la legge prevede. 
Se tutto ciò non dovesse avvenire nei tempi previsti, i genitori possono sollecitare i dirigenti scolastici affinché si provveda. 
Non ricorrere agli strumenti compensativi e dispensativi significa infatti gravare sul percorso scolastico del bambino dislessico e demotivarlo con ripercussioni anche sul piano emotivo” chiarisce la neuropsichiatra infantile. 
Le norme ministeriali stabiliscono per esempio che i bambini abbiano più tempo per fare i compiti scritti, che possano usare il computer in classe con un correttore ortografico, che siano valutati sulla base di interrogazioni orali, che non debbano leggere a voce alta di fronte ai compagni, né copiare dalla lavagna perché per loro queste attività comportano una fatica immensa.
Nella legge 170/2010 sono citati gli strumenti compensativi e le misure dispensative che hanno lo scopo di garantire l'autonomia dello studente.
Gli strumenti compensativi sono tutti i mezzi, digitali e non, di cui l’alunno dislessico può avvalersi per superare le proprie difficoltà nella scrittura, lettura...
Possono comprendere:
◦ mappe concettuali
◦ registrazione delle lezioni;
◦ testi in digitale e sintesi vocale;
◦ uso della calcolatrice
Uno studente dislessico che usa gli strumenti compensativi è come un miope che utilizza gli occhiali.
Questa metafora serve a spiegare la natura dello strumento compensativo.
Non è una facilitazione: in quanto non rende meno oneroso lo studio della materia.
Non è un vantaggio: in quanto non pone chi lo utilizza in una posizione privilegiata rispetto a gli altri.
Mentre le misure dispensative permettono allo studente di svolgere con alcuni accorgimenti (o non svolgere) alcune attività che risultano particolarmente difficili a causa del proprio DSA.
Possono comprendere:
◦ interrogazioni programmate;
◦ verifiche orali e non scritte;
◦ tempi supplementari per lo svolgimento delle prove;
◦ valutazione dei contenuti, non della forma;
◦ dispensa dal copiare e dal prendere appunti;
◦ dispensa dall'uso del corsivo.
Per concludere, si suggerisce ai genitori di consegnare subito la diagnosi alla scuola, farla protocollare e richiedere il Piano didattico personalizzato.

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