L’abbattimento delle barriere architettoniche nasce da una precisa disposizione
normativa, vale a dire il Decreto Ministeriale 236/89, che all'articolo 3,
punto 3.4, lettera d, dispone che «nelle unità immobiliari sedi di culto il
requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona
riservata ai fedeli per assistere alle funzioni religiose è accessibile».
E
successivamente il punto 5.4 prevede testualmente che i luoghi per il culto
debbano avere «almeno una zona della sala per le funzioni religiose in piano,
raggiungibile mediante un percorso continuo e raccordato tramite rampe. A tal
fine si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1., 4.2, 4.3, atte
a garantire il soddisfacimento di tale requisito specifico».
A tal proposito è opportuno ricordare quanto riportato il 21 maggio c.a. dal quotidiano «Il
Messaggero», ovvero le dichiarazioni del vescovo di Sora-Cassino Gerardo
Antonazzo, che rispetto all'Abbazia di Montecassino ha dichiarato che «chi
ha problemi di deambulazione può arrivare sino all'ingresso della portineria,
dove il personale sarà a disposizione per l’accesso, per cui non vi sono
barriere architettoniche tali che rendono l’Abbazia non visitabile».
Ebbene, non è scritto da nessuna parte che una persona con disabilità, con
problemi di deambulazione, debba arrivare sino all'ingresso della portineria
dell’Abbazia di Montecassino e non potere entrare nell'edificio senza l’aiuto
del personale dipendente, che sicuramente provvederà a prendere il disabile
stesso di peso, come un “sacco di patate”, per aiutarlo ad accedere
all'edificio.
Questo la Legge non lo prevede per diversi motivi e principalmente per
questioni di responsabilità e dignità della persona. Dire quindi che «non
vi sono barriere architettoniche tali da rendere l’Abbazia non visitabile» non
corrisponde a una soluzione e lascia irrisolto il problema basilare, ovvero che
una persona con disabilità deve poter entrare in un edificio religioso
autonomamente, e non essere sempre alla mercé di qualche benefattore o persona
di buona volontà che possa aiutarlo, mettendone così in evidenza la “diversità”
rispetto a tutti gli altri cittadini.
Non va dimenticato che nella definizione di barriere architettoniche contenuta
nel citato Decreto Ministeriale 236/89, viene postulato e messo bene in
evidenza che il problema di relazione con la Città e/o con le sue parti o
componenti riguarda innanzitutto «chiunque», e quindi tutti gli
individui, precisando successivamente di prendere in considerazione le esigenze
delle persone con impedita o ridotta capacità motoria e dei non vedenti,
ipovedenti e sordi.
In sostanza il Legislatore intende qui evidenziare che con l’abbattimento delle
barriere – oltre a rendere più fruibile l’ambiente per le persone con
disabilità motoria e sensoriale -, si rendono gli spazi comodi e sicuri,
migliorando la qualità della vita di tutti i cittadini.
Da quanto detto è palese evidenziare che un concetto ampliato di barriera
architettonica non può fare riferimento solo a un salto di quota da superare
con una rampa, come spesso si intende, interpretando in maniera superficiale e
distratta le norme, ma può essere costituito da elementi della più svariata
natura, da limitazioni percettive, oltre che fisiche, o da particolari
conformazioni degli oggetti e dei luoghi che possono risultare fonte di
affaticamento, di disagio ecc.
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