lunedì 30 ottobre 2017

Le creature non si scelgono, ma, si amano.



I genitori dei ragazzi con sindrome si raccontano: «Ci sono momenti bui e paure. Però le soddisfazioni sono infinite e se diventano autonomi...». 



«Non ho mai creato false aspettative. Le difficoltà esistono. E a conclusione di ogni incontro, quando è arrivata la domanda di rito, ho risposto con il cuore: sì, sceglierei ancora il mio bambino, ma ciascuno deve fare i conti con se stesso», racconta Rita Viotti, presidente dell'Associazione genitori e persone con la sindrome di Down (Agpd) e mamma di Francesco, 11 anni. 

In questi anni la donna ha incontrato molti genitori con una diagnosi prenatale positiva. 
In Italia un neonato ogni 1200 è affetto dalla sindrome di Down, una condizione genetica in cui la persona ha un cromosoma in più ed è accompagnata da un ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica. 
Si stima che nel nostro Paese ci siano circa 40mila persone che vivono con questa forma di disabilità. 
L'età media è di 25 anni. 
Sono numeri destinati ad assottigliarsi sempre di più, come in Islanda, dove nascono una o due persone con tale sindrome ogni anno, in quanto la maggioranza delle donne che ricevono risposta positiva al test prenatale circa la presenza di anomalie cromosomiche nel feto scelgono l'interruzione di gravidanza. 
Ha suscitato accese polemiche la vicenda della neonata di Napoli abbandonata dalla madre, rifiutata poi da 7 famiglie in lista per l'adozione ed infine assegnata in preaffidamento dal tribunale dei minori del capoluogo campano ad un single. 
I soli ad essersi astenuti da ogni giudizio sono stati proprio loro: i genitori di figli con la sindrome di Down. «Se potessi, darei a quella mamma un grosso abbraccio», afferma Laura Simontacchi, madre di Marta, 23 anni. «La scelta della madre e dei potenziali genitori adottivi è legittima. Ognuno reagisce a suo modo. Io e mio marito, avendo saputo che nostro figlio aveva la sindrome di Down quando ero incinta, lo abbiamo accolto senza traumi», dichiara Rita. «Sono certo che quello adottivo sarà un bravo papà. 

Dovrà attrezzarsi a crescere una bimba che manifesterà piccoli problemi, ma le soddisfazioni sono infinite», sostiene Davide Merlini, padre di Marco, 30 anni. 


IMPEGNO E RESISTENZA. Secondo Laura, «crescere un figlio con problematiche non è facile. Sono necessari tanto impegno e tanta resistenza. L'amore incondizionato di un genitore è un ideale. Nel mondo reale, quando ti nasce questo figlio che non è come gli altri, resti da solo». Anche lei dopo il parto si sentiva confusa e disorientata, ma non ha mai rimpianto di avere messo al mondo la sua piccola. «Non mi considero per questo una persona virtuosa. Ho i miei limiti, i miei momenti neri, in cui mando a quel paese anche mia figlia», commenta la donna. Laura non si è demoralizzata neanche quando il suo matrimonio è finito e lei si è fatta carico della crescita di Marta.Nel 1929 l'aspettativa di vita delle persone con la sindrome di Down era di 10 anni, oggi di circa 60, grazie ai progressi della medicina. «Il 50% dei portatori di questa sindrome ha una patologia cardiaca. Il fatto che Francesco goda di un'ottima salute ha costituito per noi un sollievo. Le difficoltà sono sorte a scuola. È stato faticoso lo scontro con la burocrazia, con certi stereotipi, nonché con il turnover continuo dei docenti, che destabilizza qualsiasi bimbo», spiega Rita. Le stesse criticità le ha vissute Laura: «Il periodo scolastico ha costituito una battaglia». Di diverso avviso è Davide: «Marco ha incontrato validi insegnanti e compagni che sono ancora cari amici. Ma so che l'ambiente scolastico può essere duro». Tuttavia, «finché i ragazzi stanno tra i banchi sono parte della società. La scuola italiana è inclusiva. È importante non distruggere questo modello. L'errore più grande che possiamo commettere è quello di trasmettere alla classe la percezione che l'alunno disabile sia una zavorra», osserva Rita. Con tutti i suoi difetti, la scuola viene considerata, in effetti, l'unica forma di integrazione dei ragazzi disabili nella società. Una volta terminata, il percorso di crescita quasi sempre si complica. 

IL LAVORO. Oggi in Italia solo il 13% degli adulti con sindrome di Down, pur rientrando essi in una categoria protetta in base alla legge 68/99 sul collocamento obbligatorio e mirato, ha un lavoro. Tutti gli altri, privati di opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità, restano a casa, a carico delle famiglie che dedicano alla loro assistenza ben 17 ore al giorno. «Un adeguato supporto all'autonomia della persona sin dai primi anni di vita, unito ad un accompagnamento mirato al lavoro, possono innalzare questa percentuale», osserva il presidente. L'esperienza lo insegna: Marta, la cui mamma ha sempre cercato di renderla autosufficiente, ricopre attualmente il ruolo di addetta amministrativa al magazzino di una importante azienda lombarda. Marco lavora nella ristorazione da 4 anni. Ogni mattina impiega 2 ore per arrivare da solo in sede, tuttavia non si lamenta mai. «Numerosi studi scientifici dimostrano che laddove è impiegata una persona con la sindrome di Down il clima lavorativo migliora, a beneficio della produttività», sottolinea Rita. 

L'AUTONOMIA. Le persone Down non sono eterni bambini. Essi lottano per conquistare la propria adultità, pur restando semplici. «Sono molto fiera di mia figlia, perché comprendo la fatica che fa. Come potrei arrendermi, quando vedo Marta che, nonostante tutto, vince ogni sfida?», si chiede Laura. Tutti e tre i genitori sognano per i loro figli la conquista dell'autonomia. «Anche se l'indipendenza di Francesco non sarà totale, so che potrà comunque essere felice. Ed è questo tutto ciò che desidero», puntualizza Rita. A Marco, come a Marta, non è mai accaduto di subire forme di discriminazione. Francesco, invece, la scorsa estate al mare è stato deriso da alcuni coetanei. Tornato a casa ne ha parlato con la sua mamma, che gli ha chiesto: «Cosa pensi di fare?». E lui ha risposto: «Penso che dovrò cambiare amici». I momenti di sconforto capitano ancora. «Allora si lotta, si va avanti», ci dice Laura, che ha spiegato a Marta cosa sia la sindrome di Down, quando la figlia aveva dieci anni. «Le ho detto che lei non poteva andare al passo degli altri e che avrebbe potuto reagire in tre modi: odiare il mondo, fare la vittima, o vivere con gioia accettando anche i propri limiti. Mi ha risposto che preferiva la terza opzione». «Cosa ne sarà di lui quando io non ci sarò?», è la preoccupazione costante di questi genitori. «Tra l'assegno di accompagnamento di 504 euro e lo stipendio di poco più di 600, mi ripeto che Marco potrà vivere dignitosamente», afferma Davide. Però i dati dicono che 3 persone Down su 10 percepiscono stipendi inferiori alle normali retribuzioni per il lavoro svolto.«Marta mi ha insegnato a gioire delle piccole cose. L'altro giorno ha perso il bus, mi ha chiamata dicendo che usando internet aveva visto quale mezzo alternativo prendere. Mi si è aperto il cuore. Come potrei spiegare agli altri genitori che sono in estasi perché mia figlia a 23 anni ha conseguito questo risultato? Forse non capirebbero», dichiara commossa Laura. 

Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.

Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.


domenica 29 ottobre 2017

Il ruolo dell'insegnante di sostegno nella scuola



L’insegnante di sostegno nella legge 107 del 13 luglio 2015 (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/15G00122/sg)

Tra i vari e diversi decreti legislativi che il Governo è autorizzato a emanare in base a quanto previsto dai commi 180 e 181 dell’art. 1 della legge 107/2015, ve n’è uno che riguarda in modo specifico il processo di inclusione scolastica degli allievi diversamente abili. 
Al comma 181, lett. c) si dice infatti che la “promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione” avverrà attraverso “la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine di favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria”.
L’espressione usata dalla legge è tanto sibillina quanto preoccupante per i suoi possibili risvolti operativi e culturali.
In questo senso  sembra che venga ipotizzata una figura di insegnante di sostegno superspecializzato, non più agganciato a una classe di concorso (almeno per quanto riguarda la scuola secondaria di I e II grado), ma qualificato attraverso una specifica formazione universitaria tutta centrata sui temi della disabilità.
Sarebbe invece più opportuno pensare a una abilitazione relativa alla propria area di competenza, completata da un serio percorso specialistico sulla didattica inclusiva, che fornisca dei reali strumenti per sostenere  al meglio i ragazzi certificati nel percorso di studio.
Infatti il passaggio non è chiaro, e il rischio di approdare a un docente di sostegno “esclusivo” incombe. 
Non dobbiamo sottovalutare la delega costante al docente di sostegno da parte del Consiglio di classe, che ad oggi già rappresenta uno dei maggiori ostacoli per l’inclusione scolastica.
Una sola figura non può farsi carico di tutta la didattica volta all’inclusione di un allievo in un gruppo classe e all’interno dei percorsi scolastici dedicati all’autonomia di vita o di metodo di studio e all’incremento dell’autostima per i ragazzi con programmazione curricolare semplificata.
La filosofia che ispirò la legge 517 del 1977 (e le successive normative) vedeva l’insegnante di sostegno come una risorsa aggiuntiva per l’intera classe, che legava il successo del processo di integrazione al coinvolgimento di tutto il gruppo docente del Consiglio di classe. 
Il docente di sostegno diveniva (ma lo è diventato?) un regista del processo d’integrazione, attivando anche contesti e ambienti formativi specifici e collaborando con i colleghi, pur sempre agganciati coscientemente a una propria funzione didattica ed educativa, ma in un contesto in cui ogni docente doveva svolgere coscientemente il proprio ruolo all’interno di tale processo.
D’altra parte la figura di sostegno specializzato per un solo allievo, diviene autoreferenziale e naturalmente distaccata dalle dinamiche della classe, nonché potrebbe comportare il rischio di percorsi speciali separati.
Una criticità del genere è alla base dei problemi dell’inclusione odierna. 
Tutto ciò lede i diritti dei ragazzi, che non possono avere una programmazione pensata, svolta e verificata da un unico docente con voce in capitolo.
Per quanto riguarda gli studenti con programmazione curricolare con obiettivi minimi, non è pensabile un’unica figura che li possa seguire con un’efficace metodologia didattica su tutte le materie del curricolo.
L’insegnante di sostegno è un facilitatore, ma se non partecipa alle fasi di programmazione delle discipline, come può facilitare le stesse?
A dire il vero questo non è ancora delineato nella legge.
La criticità della delega all’insegnante esclusivo non è una paura infondata, basti pensare alla reazione e all’atteggiamento ostruzionista del corpo docente odierno verso i BES (Bisogni Educativi Speciali) in genere.
Attualmente ci sono interi Consigli di classe che si scontrano sulle modalità di applicazione dei PDP (Piano Didattico Personalizzato), che talvolta si rifiutano di attuare perché rappresentano un carico di lavoro aggiuntivo, che a loro avviso in parte non gli compete.
Si sente invocare continuamente la figura di uno specialista che si faccia carico della stesura del materiale specifico e che possa dare indicazioni precise sul da farsi agli insegnati già tanto oberati. 
Il pericoloso processo di delega, che tanto  è stato paventato in questi anni rischia di verificarsi e di portare  il consiglio di classe alla deresponsabilizzazione  nei confronti del processo di inclusione, che dovrebbe coinvolgerlo interamente, mentre addirittura la normativa lo giustificherebbe (visto che ci sarà un docente appositamente formato e nominato allo scopo).
Una lettura restrittiva e iperspecialistica della legge 107 può portare purtroppo a questi risultati.
Eppure è possibile intraprendere un’altra strada, rispetto alla settaria separazione delle carriere, molto più innovativa: quella della specializzazione sui processi di inclusione anche per tutti i futuri docenti neo assunti; in questo senso nel giro di qualche anno potremmo avere docenti non solo laureati come tutti, ma nel contempo tutti specializzati sui temi della disabilità e dell’inclusione, con una reale assunzione di responsabilità da parte di tutti i docenti.
La mancanza di questa presa di coscienza, per non parlare dell’ignoranza del CDC (Consiglio Di Classe) e di alcuni Dirigenti scolastici, è il primo motivo del disagio e della frustrazione, che porta all’abbandono i docenti di sostegno, (soprattutto di quelli più preparati e motivati) che spesso si sentono perennemente in conflitto, alienati, e trattati quotidianamente come docenti di serie B da colleghi che, per mancanza di preparazione adeguata, esordiscono spesso in modo ignorante e imbarazzante, non di rado anche di fronte ai ragazzi in classe.
Il vero esodo dal sostegno alla materia è dovuto in larga misura ai docenti che non collaborano e rendono farraginosi i processi di inclusione.
Nasce così una faticosa battaglia motivata da una grande passione, che sfianca letteralmente l’insegnante di sostegno, che decide di ripiegare sull'insegnamento della materia (per riacquistare un minimo di autostima e soddisfazione) o sull’autoreferenzialità nei confronti dei soli casi differenziati, dove nessun altro docente “mette bocca”. 
Non a caso è perenne il dilemma se far passare un allievo da semplificato a differenziato all’interno dei CDC, dove i docenti raramente sono concordi sul raggiungimento degli obiettivi minimi, anche da parte di allievi certificati aventi quozienti intellettivi sufficienti per perseguirli. 
Ritornare al modello culturale della separazione, anche se realizzato dentro le classi comuni, porterà probabilmente gli alunni diversamente abili ad essere reale competenza del solo insegnante di sostegno.
È noto che questo stretto legame tra insegnante di sostegno e alunni disabili è gradito anche da molte associazioni dei genitori dei disabili, preoccupati della mancanza di continuità didattica che la scuola non sempre riesce a garantire nel processo di integrazione.
D’altra parte è necessario pensare a una maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno, che deve essere oggetto di un’ampia e curata formazione continua verso le didattiche innovative e i linguaggi, per favorire la comunicazione dei contenuti disciplinari (anche attraverso il linguaggio dei segni e il Braille).
È fondamentale pensare che per accedere a questo tipo di insegnamento, si deve essere disponibili e portati verso la flessibilità e la costante ricerca, per facilitare la comunicazione dei contenuti verso le varie tipologie di handicap.
Il docente abilitato per il sostegno deve studiare più a lungo e in modo più specifico (non sono efficaci i corsi di un anno o come negli ultimi tempi ridotti a 800 o 400 ore). La vocazione a questo tipo di impiego, deve palesarsi attraverso una forte motivazione, che porta gli aspiranti dopo la laurea a prolungare gli studi universitari con corsi biennali specialistici (comprensivi di periodi di tirocinio attivo eventualmente retribuiti) e ad attuare una ricerca innovativa costante, come specialisti di una didattica compensativa e inclusiva.

Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.

Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.

lunedì 23 ottobre 2017

Papa Francesco: "Sogno che le persone con disabilita' siano catechisti"


Per la prima volta nella storia, in Vaticano sono riunite circa 450 persone da tutto il mondo, in un Convegno Internazionale sulla catechesi e le persone con disabilità. 

C’è anche una mostra di sussidi e catechismi accessibili, pensati insieme alle persone con disabilità. 
Ecco le parole che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti: «La Chiesa non può essere “afona” o “stonata” nella difesa e promozione delle persone con disabilità».

«Conosciamo il grande sviluppo che nel corso degli ultimi decenni si è avuto nei confronti della disabilità. 

La crescita nella consapevolezza della dignità di ogni persona, soprattutto di quelle più deboli, ha portato ad assumere posizioni coraggiose per l’inclusione di quanti vivono con diverse forme di handicap, perché nessuno si senta straniero in casa propria. 
Eppure, a livello culturale permangono ancora espressioni che ledono la dignità di queste persone per il prevalere di una falsa concezione della vita. 
Una visione spesso narcisistica e utilitaristica porta, purtroppo, non pochi a considerare come marginali le persone con disabilità, senza cogliere in esse la multiforme ricchezza umana e spirituale. 
È ancora troppo forte nella mentalità comune un atteggiamento di rifiuto di questa condizione, come se essa impedisse di essere felici e di realizzare sé stessi. 
Lo prova la tendenza eugenetica a sopprimere i nascituri che presentano qualche forma di imperfezione. 
In realtà, tutti conosciamo tante persone che, con le loro fragilità, anche gravi, hanno trovato, pur con fatica, la strada di una vita buona e ricca di significato. Come d’altra parte conosciamo persone apparentemente perfette e disperate! D’altronde, è un pericoloso inganno pensare di essere invulnerabili. Come diceva una ragazza che ho incontrato nel mio recente viaggio in Colombia, la vulnerabilità appartiene all’essenza dell'uomo.

La risposta è l’amore: non quello falso, sdolcinato e pietistico, ma quello vero, concreto e rispettoso. 

Nella misura in cui si è accolti e amati, inclusi nella comunità e accompagnati a guardare al futuro con fiducia, si sviluppa il vero percorso della vita e si fa esperienza della felicità duratura. 
Questo – lo sappiamo – vale per tutti, ma le persone più fragili ne sono come la prova. 
La fede è una grande compagna di vita quando ci consente di toccare con mano la presenza di un Padre che non lascia mai sole le sue creature, in nessuna condizione della loro vita. 
La Chiesa non può essere “afona” o “stonata” nella difesa e promozione delle persone con disabilità. 
La sua vicinanza alle famiglie le aiuta a superare la solitudine in cui spesso rischiano di chiudersi per mancanza di attenzione e di sostegno. 
Questo vale ancora di più per la responsabilità che possiede nella generazione e nella formazione alla vita cristiana. 
Non possono mancare nella comunità le parole e soprattutto i gesti per incontrare e accogliere le persone con disabilità. 
Specialmente la Liturgia domenicale dovrà saperle includere, perché l’incontro con il Signore Risorto e con la stessa comunità possa essere sorgente di speranza e di coraggio nel cammino non facile della vita.

La catechesi, in modo particolare, è chiamata a scoprire e sperimentare forme coerenti perché ogni persona, con i suoi doni, i suoi limiti e le sue disabilità, anche gravi, possa incontrare nel suo cammino Gesù e abbandonarsi a Lui con fede. 

Nessun limite fisico e psichico potrà mai essere un impedimento a questo incontro, perché il volto di Cristo risplende nell’intimo di ogni persona.

Inoltre stiamo attenti, specialmente noi ministri della grazia di Cristo, a non cadere nell’errore neo-pelagiano di non riconoscere l’esigenza della forza della grazia che viene dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana. 

Impariamo a superare il disagio e la paura che a volte si possono provare nei confronti delle persone con disabilità. 
Impariamo a cercare e anche a “inventare” con intelligenza strumenti adeguati perché a nessuno manchi il sostegno della grazia. 
Formiamo – prima di tutto con l’esempio! – catechisti sempre più capaci di accompagnare queste persone perché crescano nella fede e diano il loro apporto genuino e originale alla vita della Chiesa. 
Da ultimo, mi auguro che sempre più nella comunità le persone con disabilità possano essere loro stesse catechisti, anche con la loro testimonianza, per trasmettere la fede in modo più efficace».

sabato 21 ottobre 2017

Cannabis per uso terapeutico, arriva via libera dalla Camera



L’aula della Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge "Disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis a uso medico", con 317 sì, 40 no e 13 astenuti.
A favore hanno votato Pd, M5s, Mdp, Sc-Ala, Si-Pos e Psi. Contrari Forza Italia, Lega Nord, Fdi e Udc. Astensione da Alternativa popolare. 
Il provvedimento passa all’esame del Senato
Il testo fissa criteri uniformi sul territorio nazionale garantendo ai pazienti equità d’accesso, promuove la ricerca scientifica sui possibili impieghi medici e sostiene lo sviluppo di tecniche di produzione e trasformazione per semplificare l’assunzione. 
Ecco, in sintesi, le principali novità.

CANNABIS A USO TERAPEUTICO
 Il medico potrà prescrivere medicinali di origine vegetale a base di cannabis per la terapia del dolore e altri impieghi. 
La ricetta (oltre a dose, posologia e modalità di assunzione) dovrà recare la durata del singolo trattamento, che non può superare i tre mesi.

MEDICINALI A CARICO DEL SERVIZIO SANITARIO
 I farmaci a base di cannabis prescritti dal medico per la terapia del dolore e impieghi autorizzati dal ministero della Salute saranno a carico del Servizio sanitario nazionale. 
Se prescritti per altri impieghi restano al di fuori del regime di rimborsabilità. 
Vale in ogni caso l’aliquota Iva ridotta al 5 per cento.

PRODUZIONE DI CANNABIS
Coltivazione della cannabis, preparazione e distribuzione alle farmacie sono affidate allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. 
Se necessario può essere autorizzata l’importazione e la coltivazione presso altri enti. 
Sono stanziate risorse per un milione e 700mila euro.

MONITORAGGIO PRESCRIZIONI
A regioni e province autonome spetta il compito di monitorare le prescrizioni, fornendo annualmente all’Istituto superiore di sanità i dati aggregati per patologia, età e sesso dei pazienti sotto terapia di cannabis, nonché quello di comunicare all’Organismo statale per la cannabis il fabbisogno necessario per l’anno successivo.

INFORMAZIONE E PROMOZIONE RICERCA
Norme specifiche prevedono campagne di informazione, aggiornamento periodico dei medici e del personale sanitario impegnato nella terapia del dolore e promozione della ricerca sull’uso appropriato dei medicinali a base di cannabis.


Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.


Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.

venerdì 20 ottobre 2017

La vita a ostacoli dei disabili gravi: "Dallo Stato solo un'elemosina"


Sono quattro milioni e per la loro assistenza ricevono appena cinquecento euro al mese.

Dopo la denuncia di Bertocco, ecco il calvario delle persone non autosufficienti.

Un atto d'accusa che colpisce al cuore. 

Perché dice con chiarezza che essere disabili gravi in Italia vuol dire diventare "ultimi". 
Privi di assistenza, privi di sostegni, privati soprattutto della sfida di essere autonomi. 
Lasciati soli con la propria malattia. 
A meno di non avere molti soldi e una famiglia (giovane) che possa prendersi cura di persone che dolorosamente dipendono in tutto e per tutto da chi li assiste. 
Alzarsi, vestirsi, lavarsi, essere imboccati, lavati, girati, medicati, giorno e notte, notte e giorno.
Il "testamento" pubblico di Loris Bertocco, paralizzato da quando aveva 19 anni per un incidente stradale, la sua scelta di andare a morire in Svizzera denunciando l'abbandono da parte delle istituzioni, è la fotografia impietosa della condizione di vita dei non autosufficienti in Italia. 

Tra tagli e giungle burocratiche, buone leggi disattese, la disabilità è sempre di più una questione di famiglia. 
Affidata nella latenza dello Stato a genitori e fratelli stremati che spesso possono contare unicamente sui 500euro mensili dell'assegno di accompagnamento.
Ossia una goccia nel mare, per assistere un uomo nelle condizioni di Loris Bertocco ci sarebbero volute almeno tre persone... . 

La sua storia ci deve toccare nel profondo, perchè la vita della persona con disabilità grave può diventare accettabile, soltanto se si hanno gli aiuti necessari a garantire la loro dignità di esseri umani. 
Ossia tutto quello che negli ultimi anni Bertocco, ormai senza soldi e affidato "soltanto" alle cure dello Stato non aveva più. 
Ecco allora dalla A di assistenza, alla S di scuola, la vita ad ostacoli dei disabili gravi nel nostro paese.

L'ASSISTENZA NEGATA.

Le voci sono fondamentalmente due: assegno di accompagno e pensione di invalidità. 

Poco più di 500 euro il primo, 279 euro la seconda. 
L'assegno viene erogato sulla base della patologia, a prescindere dal reddito, ma la condizione è che la persona disabile non viene assistita in una struttura pubblica. 
La pensione invece è destinata a chi ha un reddito al di sotto dei ventimila euro. Insomma quasi nulla. 
A cui si devono sommare alcuni aiuti erogati dai Comuni, che riescono però a coprire un numero esiguo di casi. 
La verità è che negli ultimi anni le politiche di welfare si sono occupate quasi unicamente della povertà, dimenticando la disabilità. 
Il risultato è il fenomeno tutto italiano del "badantato". 
Ma sapete quanto costa assistere una persona come Bertocco? 
Tremila euro al mese...

I PARENTI ABBANDONATI.

Ossia Caregiver. 

Nome inglese che vuol dire colui o colei (nel 90% dei casi la declinazione è femminile) che si prende cura. 
È il centro del dramma italiano. 
Nell'assenza dello Stato l'intero peso dell'assistenza è sulle spalle delle famiglie. 
Peso che diventa insostenibile quando i genitori invecchiano o si ammalano. Basta leggere quello che scrive nella sua lettera Loris Bertocco, raccontando l'abnegazione della madre che però ad un certo punto non riusciva più ad alzarlo. 
Per questo le associazioni hanno chiesto, con forza, una legge che tutelasse queste figure che nell'ombra si dedicano anima e corpo a chi non può farcela da solo, spesso abbandonando il loro lavoro. 
Ma dopo anni oggi è in discussione al Senato una legge che le associazioni bocciano senza appello. 
Il testo prodotto non riconosce alcuna tutela, ad esempio i contributi figurativi, né alcun ruolo decisionale ai caregiver. 
Quindi i pochi aiuti restano quelli della legge 104, ad esempio i permessi lavorativi destinati a chi si prende cura di un familiare malato.

RISORSE COL CONTAGOCCE.
I conti sono impietosi. 

Per gli assegni di accompagno lo Stato spende ogni anno circa 13 miliardi euro. Altri 6 miliardi vengono stanziati da regioni e comuni. 
Se dividiamo questa cifra per il numero dei disabili gravi, vediamo che per l'assistenza le famiglie ricevono non più di 700 euro al mese. 
Ma sapete quanto costa una badante? 
Novecento euro di stipendio base, più tutti gli straordinari. 
Per un disabile come Bertocco, con la necessità di essere assistito giorno e notte ci vogliono minimo due persone, più spesso tre. 
Come fanno le famiglie? 
Ci sono madri, padri e fratelli che si dedicano senza respiro al familiare disabile. Con il risultato che spesso, però, è tutta la famiglia che si ammala...

IL SOGNO DELL'AUTONOMIA.

L'alternativa a tutto questo è il ricovero in un istituto. 

Ma. anche il ricovero ha costi alti e in alcune regioni i posti sono limitatissimi. 
E poi vuol dire abdicare all'autonomia che è invece la sfida di noi non autosufficienti. 
Muoverci, vivere, avere delle relazioni, lavorare. 
Perché ospedalizzarci? 
La Convenzione Onu sulla disabilità dice che l'autonomia è un diritto. 
Ma senza un'assistenza domiciliare adeguata un disabile diventa un prigioniero in casa.

CHE FATICA A SCUOLA.
Sulla carta avremmo una delle leggi "di inclusione" migliori del mondo. 

La legge 517 del 1977 che compie quest'anno mezzo secolo e ha sancito la fine delle classi "differenziali". 
I bambini disabili che vanno a scuola sono oggi oltre 200mila. 
Grazie a quella legge abbiamo il record di studenti disabili gravi iscritti all'università.
Ma anche qui l'eccellenza italiana rischia di sgretolarsi. 
Nonostante la crescita smisurata del numero di insegnanti di sostegno passati da 30mila a 130mila, spesso i bambini in classe vengono lasciati a se stessi. 
Nel senso che gli insegnanti vengono utilizzati per altri compiti, il loro ruolo è stato snaturato, ma soprattutto mancano figure come gli assistenti educativi e materiali. 
Insomma a meno che non ci siano dei bidelli disponibili, non c'è una figura che porti, ad esempio, il bambino disabile al bagno. 
E il paradosso è che spesso sono le mamme a dover entrare a scuola per aiutare i loro bambini "speciali" nelle esigenze primarie... 


Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.

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mercoledì 18 ottobre 2017

La disabilità deve interessare a tutti, non solo ai disabili





È bello che fioriscano nel nostro Paese associazioni e iniziative più o meno note visto che non siamo solo oggetti di cura ma protagonisti della nostra vita. 


Ma, non scordiamo che è l'intera collettività che deve combattere contro le discriminazioni e le barriere.

Conoscete Iacopo Melio, Max Ulivieri, Bebe Vio? 
Sono solo alcuni esempi di attivisti che, in Italia, si impegnano per la difesa dei diritti delle persone con disabilità e per promuovere una rivoluzione culturale e socio-politica nel modo in cui la disabilità viene “costruita”, percepita e vissuta sia dai disabili stessi sia dalla società. 
Ma, il vento del cambiamento proviene da lontano. 
I primi movimenti di attivisti per la difesa dei diritti delle persone con disabilità risalgono a circa metà del XX secolo in Gran Bretagna, come risposta alle molteplici discriminazioni subite a livello sociale ed economico. 

Questo tipo di attivismo poggia le sue fondamenta teoriche sul modello sociale della disabilità, secondo cui la disabilità non coincide con i deficit individuali bensì con le caratteristiche della società, ritenute «disabilitanti».

IL CAMBIO DI PROSPETTIVA. 
Esemplificando, disabile non è la persona in sedia a rotelle ma, l'edificio con la scalinata e privo di ascensore, poiché tali caratteristiche impediscono l'accesso a chi non può camminare sulle proprie gambe. 

Il modello sociale, nelle sue diverse declinazioni, è stato rivoluzionario soprattutto nelle sue ricadute pragmatiche: affrancarsi da una visione che associava la disabilità alla patologia organica individuale, quindi al corpo, per abbracciare una prospettiva che la attribuisce alla struttura sociale, ha significato togliere, o per lo meno ridimensionare molto, il potere che il modello medico e i suoi esperti esercitavano sulla vita delle persone, restituendolo in primis ai disabili stessi e poi anche alla collettività.

LE BATTAGLIE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE. 

«Niente su di noi senza di noi», un'espressione coniata in quegli anni, è divenuta poi il motto dei movimenti per la difesa dei diritti delle persone con disabilità. L'Unione dei Disabili Fisici contro la Segregazione fondata nel 1972 (Upias, ovvero Union of the Phisically Impaired Against Segregation) è stata la più importante organizzazione a essere associata al modello sociale della disabilità. Le lotte a favore di una legislazione antidiscriminatoria che dichiarasse illegittima la disparità di trattamento nei confronti di persone con disabilità e le campagne a favore del pagamento diretto, ovvero mirate a far sì che lo Stato eroghi denaro ai cittadini disabili invece di imporsi nella scelta dei servizi a loro beneficio, sono solo degli esempi di azioni politiche portate a compimento in quegli anni.

Il nostro Paese, invece, ha una storia di attivismo molto più recente e forse meno “corposa”. 

Sarà la vicinanza al Vaticano o qualche altra misteriosa ragione, ma la mia impressione, in linea generale e fatte salve le dovute eccezioni, è che si preferisca approcciarsi alle persone disabili più come oggetti di cura, che come soggetti protagonisti della propria vita e responsabili delle proprie scelte.

LE REALTÀ ITALIANE. 
Tuttavia qualcosa sta cambiando anche qui. 
La partenza è sempre il protagonismo e la presa di posizione di chi vive la condizione di disabilità sulla propria pelle. 
Cominciamo citando gli esempi più noti: 

  • la Onlus Vorrei prendere il treno fondata da Iacopo Melio, a favore dell'abbattimento delle barriere architettoniche e del diritto all'accessibilità per tutti; 
  • il progetto Loveability di Maximiliano Ulivieri e il disegno di legge per l'istituzione del ruolo professionale di assistente sessuale (sono stati da poco avviati i primi corsi di formazione per assistenti sessuali a Bologna); 
  • la squadra di Ambasciatori dello sport paralimpico italiano capitanata da Alex Zanardi e con la presenza, tra gli altri atleti, di Bebe Vio, che sta entrando nelle scuole e negli ospedali con l'obiettivo di raccontare, attraverso le esperienze personali dei campioni e delle campionesse, l'importanza e il diritto delle persone con disabilità, di praticare sport.


IL DISABILITY PRIDE. Esistono anche realtà forse meno note, come il Mid, Movimento Italiano Disabili, movimento socio-culturale e di sindacato ispettivo, che ha la finalità di promuovere la partecipazione dei disabili all'attività politica e sociale nonché il rispetto dei loro diritti. 


Abbiamo già conosciuto il Disability Pride Italia, iniziativa itinerante al suo secondo anno di vita, che organizza giornate dense di momenti di incontro, dialogo e confronto tra attivisti, cittadini comuni, associazionismo e istituzioni sugli argomenti più “scottanti”: diritto alla sessualità, al lavoro, turismo accessibile, eliminazione delle barriere architettoniche, e così via.

Ci sono progetti e gruppi che conosco più da vicino. 
Il primo è il progetto dell'Associazione di promozione sociale disMappa che dal 2012 si occupa di valorizzare il centro storico di Verona, tramite la mappatura di luoghi ed eventi accessibili. 
Diventata la più dettagliata in Italia, con oltre 700 punti di interesse segnalati, la mappa permette di visitare e vivere la città senza barriere. 
Figlia del progetto è Casa disMappa, l'abitazione totalmente accessibile, che, nel centro della città di Romeo e Giulietta, offre ospitalità gratuita ai turisti in carrozzina. 

Per finire con gli esempi, esaurienti ma sicuramente non esaustivi, il gruppo desiderAbili , composto da disabili e non, che, sempre a Verona, si occupa di diritto alla sessualità, alla vita indipendente e all'autodeterminazione, promuovendo occasioni di confronto su questi temi con la cittadinanza e le istituzioni veronesi.

SIAMO GLI ESPERTI DI NOI STESSI. Insomma, anche nel nostro Bel Paese inizia a esserci un certo fermento. 
Da persona con disabilità, non posso che essere contenta di tutta questa fioritura di movimenti, gruppi, associazioni composti da individui consapevoli dell'importanza di conquistare il diritto di “avere voce in capitolo”, anzi di più, di essere i primi a prendere decisioni in merito alle questioni che ci riguardano. 
I primi “esperti” di noi stessi siamo noi stessi, potremmo dire. 

E questo vale non solo per tutte le categorie sociali, ma, credo, pure per ogni singolo individuo.

UNA QUESTIONE DI TUTTI. Ciò non significa, però, che gli unici a occuparsi di disabilità, debbano coloro che versano in questa condizione. 
Sia perché garantire il pieno e soddisfacente sviluppo dell'individualità e della possibilità che ciascuno si autodetermini non è soltanto una responsabilità individuale o di una categoria bensì dell'intera collettività che quindi deve sentirsi chiamata in causa, sia per il fatto che avere una disabilità, momentanea o permanente, anche solo dovuta all'invecchiamento, capita a tutti, prima o poi. Non toccatevi gli attributi, non servirà. 
Il segreto penso stia nel posizionamento che dovrebbero auspicabilmente avere gli “abili” quando affrontano questioni riguardanti la realtà “disabilità”, e cioè mantenendo un atteggiamento di ascolto e rispetto nei confronti di chi, vivendola sulla propria pelle, ne sa più di loro.

Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.

Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.



domenica 15 ottobre 2017

Le famiglie non potranno scegliere il docente per il sostegno


Nei mesi scorsi, subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione, attuativo della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola), tanti giornali e anche addetti ai lavori avevano salutato con toni trionfalistici e celebrativi l’articolo 14 di quello stesso Decreto, ai sensi del quale si sarebbe aperta per le famiglie la possibilità di intercedere a favore di questo o quel bravo supplente, che nel corso dell’anno scolastico si fosse contraddistinto per il suo lavoro con l’alunno disabile.
Effettivamente, quel testo stabiliva che «al fine di agevolare la continuità educativa e didattica e valutati, da parte del dirigente scolastico, l’interesse dell’alunno e l’eventuale richiesta della famiglia, ai docenti con contratto a tempo determinato per i posti di sostegno didattico possono essere proposti, non prima dell’avvio delle lezioni, ulteriori contratti a tempo determinato nell’anno scolastico successivo».

Ebbene, tutto sembrava pronto già per questo nuovo anno scolastico, ma qualche giorno fa la “macchina organizzativa” si è improvvisamente inceppata.
Infatti, la burocrazia ministeriale non sempre è così efficace. Innanzitutto, perché il Decreto è stato inviato al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) solo nel mese di agosto.
Nel frattempo il Ministero è rimasto in attesa e alla fine il CSPI si è pronunciato, sentenziando che «occorre una conciliazione tra le esigenze del ministero che vorrebbe garantire la continuità didattica ai supplenti richiesti dalle famiglie e i diritti individuali dei lavoratori».
Il Consiglio si riunirà di nuovo nel prossimo mese per approfondire la questione, per poi passare definitivamente la “palla” al Consiglio di Stato e attendere chissà quanto ancora.

La nuova regola prevista dal Decreto sull’inclusione era stata fortemente criticata dall’Associazione ANIEF e dal mondo sindacale, secondo i quali la scelta su un lavoratore pubblico non può essere fatta da chi non ha competenze per valutare la didattica speciale.
Pur rispettando tali perplessità, ci permettiamo di non condividerle, perché crediamo che in merito al provvedimento sull’inclusione licenziato lo scorso aprile, essi abbiano sbagliato clamorosamente bersaglio.
Fossimo in loro, infatti, concentreremmo le nostre energie e profonderemmo tutti gli sforzi per impedire ed evitare una volta per tutte che nel mondo della scuola si debba continuare ancora a parlare di “supplenti a contratto determinato”, dal momento che il vero paradosso del sostegno italiano è che, malgrado il neonato Decreto Delega, il Ministero insiste pervicacemente con i docenti di sostegno supplenti (spesso privi di competenze specifiche sulla didattica inclusiva).
Tale perverso meccanismo corporativo va denunciato con forza, in quanto va a solo detrimento dei bisogni educativi degli alunni con disabilità e del loro successo formativo.

Anziché inseguire falsi problemi, quindi, l’ANIEF e le organizzazioni sindacali dovrebbero battersi con maggiore decisione per un piano a lungo termine di stabilizzazione e assunzione dei docenti di sostegno, per il loro definitivo passaggio dall’attuale organico di fatto a quello di diritto, per il loro vincolo al segmento formativo dell’alunno con disabilità e per il potenziamento dei Centri Territoriali di Supporto (i CTS inspiegabilmente cancellati dalla Buona Scuola), tutti interventi strutturali e di sistema che purtroppo non sono previsti dalla tanto pontificata nuova riforma dell’inclusione, con buona pace della continuità didattica.


Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economicoogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.
Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.


mercoledì 11 ottobre 2017

Legge barriere architettoniche: in vista il nuovo regolamento di accessibilità




E’ stata approvata il 3 ottobre alla Camera la proposta di legge 1013 “Disposizioni per il coordinamento della disciplina in materia di abbattimento delle barriere architettoniche”, che ora dovrà passare al Senato. 

La proposta di legge, che è composta di due articoli, contiene disposizioni finalizzate al coordinamento e all'aggiornamento delle prescrizioni tecniche per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati e negli spazi e nei servizi pubblici o aperti al pubblico o di pubblica utilità attualmente in vigore. 
L’obiettivo è quello di uniformare i regolamenti in vigore, o, meglio, rendere finalmente attuativo il regolamento già esistente.



OGGETTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE.

La proposta di legge contiene disposizioni per il coordinamento e l'aggiornamento delle vigenti prescrizioni tecniche per l'eliminazione delle barriere archiettoniche , contenute nel D.P.R. 503/1996 e nel D.M. 236/1989. Inoltre vengono disciplinati i compiti della commissione. 
Si tratta di una proposta di legge, che riproduce con qualche modifica il testo dell'A.S. 3650 della XVI legislatura, approvato in prima lettura dalla Camera (A.C. 4573).

Originariamente la proposta di legge era composta di un solo articolo; nel corso dell'esame è stata poi recepita una condizione formulata nel parere della V Commissione (Bilancio), pertanto alla proposta di legge è stato aggiunto l'art.2 recante la clausola di invarianza finanziaria, che prevede nessun onere per la finanza pubblica.



LA NORMATIVA VIGENTE. 
Al momento attuale, per quanto riguarda l’abbattimaneto delle barriere architettoniche, in Italia è vigente il regolamento di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503 che reca norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, negli spazi e nei servizi pubblici ed ha sostituito, aggiornandole, le precedenti norme in materia dettate dal D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 (Regolamento di attuazione dell'art. 27 della L. 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici). 

Inoltre la legge n. 13 del 9 gennaio 1989 ha dettato disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati. 

In attuazione dell'art. 1, comma 2, di tale legge è stato emanato il D.M. dei lavori pubblici n. 236 del 14 giugno 1989 recante "Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche". 
Nella medesima legge n. 13 del 1989, agli articoli 4 e 5 sono previste inoltre norme per gli interventi riguardanti i beni sottoposti a disposizioni di tutela per il loro valore paesaggistico o per l'esistenza di un vincolo di natura storico ed artistico. 

Ulteriori disposizioni sull'eliminazione o il superamento delle barriere architettoniche sono altresì previste dall'art. 24 della legge 104/1992. 
Queste disposizioni di rango “primario” sono state riprodotte negli artt. da 77 ad 82 del schema di regolamento per l'eliminazione delle barriere architettoniche (T.U. in materia edilizia), che costituiscono il capo III della parte II del citato T.U. e che reca "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico".



LE NUOVE DISPOSIZIONI. 

Stante questo panorama, la proposta di legge vuole quindi intervenire per dare un ordine organico a queste disposizioni. 
Vediamo cosa prevedono i commi dei singoli articoli. 

Il comma 1 dell'articolo 1 della proposta di legge prevede l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica, al fine di:

• assicurare l'unitarietà e l'omogeneità della normativa relativa agli edifici, agli spazi e ai servizi pubblici, e della disciplina relativa agli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica;

• promuovere l'adozione e la diffusione della progettazione universale in attuazione e in conformità ai princìpi espressi dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Il comma 1 inoltre prevede che il nuovo provvedimento venga adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge: da quel momento di prevede la conseguente abrogazione dei regolamenti di cui al D.P.R. 503/1996 e al D.M. 236/1989, destinati ad essere sostituiti dal nuovo D.P.R. (lo stabilisce il comma 2).

L’ITER DI ADOZIONE DEL NUOVO REGOLAMENTO. 

Sempre il comma 1 dell’art. 1 chiarisce l’iter per l’adozione del nuovo regolamento. Rispetto a quanto previsto per l'adozione del D.P.R. 503/1996 e del D.M. 236/1989, l'iter per l'approvazione del nuovo regolamento è più articolato, prevedendo un decreto: 

- su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze;

- previa deliberazione del Consiglio dei ministri;

- sentito il parere del Consiglio di Stato e, per i relativi profili di competenza, il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che si esprime entro trenta giorni dalla richiesta;
-sentita la Conferenza unificata;
- acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data dell'assegnazione dello schema di decreto.

LA COMMISSIONE DI MONITORAGGIO AGGIORNAMENTO. 

Il comma 3 dell’art. 1 prevede la ricostituzione della commissione permanente già prevista dall'art. 12 del D.M. 236/1989 per l'aggiornamento e la modifica delle prescrizioni tecniche per l'eliminazione delle barriere architettoniche. 
La Commissione, che era stata ricostituita con decreto n. B3/1/792 del 15 ottobre 2004 e che aveva concluso i propri lavori il 26 luglio 2006 con una relazione e l'approvazione di uno schema di regolamento per l'eliminazione delle barriere architettoniche trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'approvazione, era stata soppressa in attuazione dall'articolo 12, comma 20, del decreto-legge 95 del 2012, che aveva previsto il trasferimento delle attività svolte dagli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga, ai competenti uffici delle amministrazioni stesse.

Alla nuova commissione, le cui nomine sono effettuate da parte del Ministero dei trasporti, dopo aver sentito parere della Conferenza Stato-Regioni, sono affidati i seguenti compiti:

• individuare la soluzione a eventuali problemi tecnici derivanti dall'applicazione della normativa cui fa riferimento la proposta di legge;

• elaborare proposte di modifica e aggiornamento;
• adottare linee guida tecniche basate sulla progettazione universale ai sensi dell'art. 4 comma 1, lettera f), della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006
• monitorare sistematicamente l’attività delle pubbliche amministrazioni (come da attuazione dell'articolo 32 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, in tema di adozione di piani di eliminazione delle barriere architettoniche. 

In particolare, i commi 20-22 contengono disposizioni sui P.E.B.A. (https://controlebarriere.blogspot.it/2017/10/petizione-popolare-per-ladozione-dei.html), i piani di eliminazione delle barriere architettoniche che devono essere adottati da parte delle amministrazioni competenti per gli edifici pubblici non adeguati alle prescrizioni tecniche di cui al D.P.R. n. 384 del 1978 (ora sostituito dal D.P.R. 503/1996prevedendo eventualmente l'intervento di un commissario in sostituzione delle amministrazioni medesime.

Si prevede inoltre che la ricostituzione della commissione debba avvenire nell’ambito delle risolse già disponibili, e in ogni caso senza maggiori oneri finanziari a carico delle casse pubbliche. 

Per questo motivo è previsto che ai componenti della Commissione non siano corrisposti compensi, gettoni di presenza o rimborsi di spese.