Panorama
del 17-02-2017
Secondo studio pubblicato su Nature è possibile prevedere il rischio già prima
dell'anno di età con la risonanza magnetica.
Il 18 febbraio, giorno di nascita di Hans Asperger che ha dato il nome alla
sindrome che fa parte dei disturbi dello spettro autistico, si celebra la
giornata mondiale dell'Asperger.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima
che un bambino su 160 abbia un disturbo dello spettro autistico, che può
comportare grosse difficoltà di comunicazione con gli altri, una propensione ad
azioni ripetitive, una tendenza al perfezionismo, un'interpretazione letterale
della realtà e di ciò che viene detto e molto altro.
Diagnosi precoce.
Uno studio appena pubblicato su Nature suggerisce che una risonanza magnetica
del cervello del bebè possa rivelare qual è il suo rischio di sviluppare
l'autismo.
Quando il cervello del bambino cresce a un ritmo più veloce del
normale, quello sarebbe un segno rivelatore di ASD (disturbo dello spettro
autistico).
Già si sapeva che i bambini con ASD hanno in genere cervelli più
grandi rispetto ai coetanei, ma si ignorava a quale età intervenga questa
differenza.
Fino ad oggi la diagnosi di disturbo dello spettro autistico poteva essere
fatta a partire dai due anni, a cominciare da quando i problemi comportamentali
e le difficoltà di comunicazione diventano evidenti.
Lo studio di Nature ha
coinvolto 106 neonati considerati ad altro rischio di ASD (per casi in famiglia)
con 42 a basso rischio e ha riscontrato una più rapida crescita della
superficie corticale tra sei mesi e un anno di età nei bambini successivamente diagnosticati con un disturbo dello spettro autistico a due anni, rispetto a
quelli che non risultavano affetti.
Iniziare a curare prima.
"Il nostro studio mostra che i biomarcatori precoci dello sviluppo del
cervello potrebbero essere molto utili per identificare i bambini a più alto
rischio di autismo prima che i sintomi comportamentali emergano", ha
spiegato l'autore dello studio, Joseph Piven della University of North
Carolina.
Sarebbe così possibile intervenire prima della comparsa dei sintomi,
a un'età in cui il cervello umano è più malleabile.
"Tali interventi
possono avere una maggiore possibilità di migliorare la prognosi rispetto ai
trattamenti avviati dopo la diagnosi".
Ma i ricercatori avvertono che
occorreranno altri studi prima che la risonanza magnetica diventi uno strumento
clinico di diagnosi.
Marta Buonadonna
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