lunedì 27 febbraio 2017

I contesti agricoli possono essere utilizzati a sfondo terapeutico per disturbi psichici

COSA SIGNIFICA FARE AGRICOLTURA SOCIALE?
Significa mettere insieme due parole, con significati che fino ad ora erano parsi distanti: l’agricoltura, con le sue pratiche legate al lavoro della terra e con gli animali, e il sociale, ambito generico e astratto che ha che fare con la tutela del popolo nella sua interezza, con particolare attenzione alle persone svantaggiate. 
Mettere insieme due ambiti così differenti significa trovare dei punti di aggancio, con vantaggi per entrambi gli interlocutori dello scambio, cosicché dalla somma delle parti possa emergere un terzo punto, un terzo polo al di fuori del continuum: l’agricoltura sociale, appunto, che negli ultimi anni ha trovato in Italia lo spazio che altrove -per esempio i luoghi del nord-Europa, in primis l’Olanda con le care farm- aveva già conquistato da tempo. 
CONTESTI AGRICOLI USATI A LIVELLO TERAPEUTICO.
Dal punto di vista terapeutico/riabilitativo, usare i contesti dell’agricoltura per promuovere progetti di reinserimento significa riconsegnare il corpo a una dimensione più naturale, con i tempi dell’attesa e della stagionalità caratteristici del lavoro agricolo. 
All'università di Pisa, nel lavoro del prof. Francesco Di Iacovo, portano avanti da anni un lavoro di promozione di interventi e progetti di questo tipo. 
La difficoltà maggiore, nel trattamento e nel recupero di persone con problematiche di handicap di vario tipo o disturbi della personalità, è riconsegnarli a una normalità sociale che preveda, per loro, la possibilità di sentirsi parte del gruppo sociale e di percepirsi connessi agli altri. 
Quest’ultimo punto è un problema molto antico. 
Anni fa si usava il termine ergoterapia per descrivere il potere curante di un’attività manuale a contatto con altre persone, in alternativa alla cronicizzazione e al rischio della lungodegenza. 
Usare il contesto agricolo significa inoltre rispondere all'urgenza «biofilica» dell’uomo, che lo riporta sempre, come per una forma di nostalgia incurabile, al contatto con la natura e i suoi tempi quando in cerca di un periodo di ristoro e di «cura». 
INSERIMENTO DI PAZIENTI CON HANDICAP PSICHICI.
L’agricoltura sociale prevede l’inserimento di pazienti con handicap psichico, persone con trascorsi di tossicodipendenza, ragazzi affetti da autismo e, negli ultimi tempi, soggetti «espulsi»” dal mondo del lavoro e non più in grado di rientrarvi per ragioni di età (dai 45/50 anni in su). 
AGRICOLTURA SOCIALE E AUTISMO.
Le patologie dello spettro autistico tendono, nel corso della vita, a perdurare; entrati in età adulta, quando la famiglia di origine non consenta loro di permanere in un contesto casalingo, i portatori di questa complessa problematica psichica -connessa alla questione dell’intersoggettività, estremamente problematica- rischiano di proiettarsi in un «vuoto progettuale» fatto di una sola via di possibile collocazione: le strutture dedicate con il rischio della cronicizzazione (per non dire segregazione).

I progetti di agricoltura sociale propongono un modello non urbano di possibile inserimento, ispirato dal lavoro del pedagogo utopista Rudolf Steiner e in linea con le direttive universalmente condivise a proposito della presa in carico di disturbi di questo tipo. 
UN ESEMPIO IN PROVINCIA DI PAVIA.
L’esempio più strutturato lo troviamo in Provincia di Pavia, presso Cascina Rossago, residenza e insieme azienda agricola per ragazzi autistici fondata da un’ex ricercatrice dell’Università di Pavia. 

In questo contesto operano seguendo le linee guida riconosciute valide per il trattamento di disturbi di questo tipo, modulate intorno al concetto di «educazione strutturata permanente» -una forma di genitorialità protratta con un’attenzione specifica alla risorse residue e alla trasmissione di competenze. 

Inoltre, qui si lavora dando il fondamentale supporto alla famiglia del paziente per rispondere alla domanda «e dopo di noi?» (questo aspetto è centrale dal punto di vista clinico: il supporto cioè alla rete familiare, e non solo al singolo). 
Altro ente capo-fila in progetti di questo tipo, Coldiretti, che a partire dal Piemonte (con a seguire regioni come Marche, Calabria e Sicilia, ora molto attive in questo ambito) ha promosso la costruzione di nuove reti di servizi che fanno del contesto agricolo luogo elettivo per l’erogazione di servizi di natura «terapeutico/riabilitativa», focalizzandosi sulla «domiciliazione» dei servizi (per esempio, progetti di assistenza a persone in difficoltà in aree «fragili» a rischio spopolamento.
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