lunedì 21 agosto 2017

Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni

Ad undici anni dall'approvazione della Legge 67/06 che, tutela le persone con disabilità vittime di discriminazioni, meritano di essere registrati alcuni pronunciamenti giudiziari che vanno letti come importanti segnali sulla forza sempre maggiore del principio di parità di trattamento il quale, secondo quella stessa Legge 67, comporta che non possa essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità, spaziando su varie attività della vita.
Il provvedimento, approvato appunto il 1° marzo 2006 dal Parlamento Italiano, appresta una tutela sia inibitoria che risarcitoria.
Se infatti accerta la discriminazione, il giudice può:
a)    ordinare, se il ricorrente lo richiede, il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, da discriminazione, cioè quello che deriva dal non aver potuto fare una cosa come gli altri;
b)    ordinare la cessazione della discriminazione, se ancora in corso;
c)     adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione;
d)    ordinare l’adozione, entro il termine fissato, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, soluzione indicata per i casi in cui gli eventi lesivi siano estesi e, perciò, impossibili da eliminare con un singolo atto. Immaginiamo, ad esempio, che il giudice accerti che una serie di stazioni ferroviarie non sono utilizzabili da clienti disabili; in questo caso l’adozione di un piano di modifica delle stazioni è probabilmente la soluzione più idonea;
e)    ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.
Le ipotesi di discriminazione contro cui è possibile reagire presentando ricorso al Tribunale sono quella diretta (che determina cioè un trattamento meno favorevole per motivi connessi alla disabilità) e quella indiretta (in cui un fatto apparentemente neutro mette una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto agli altri: si pensi al divieto di portare cani in un ristorante, fatto di per sé neutro, che però, per una persona non vedente con cane guida, diventa ragione di svantaggio).
Inoltre, si può reagire con lo stesso strumento anche contro le molestie e, in genere, contro tutti quei comportamenti, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità o creano un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità nei suoi confronti.
La Legge 67 ha incominciato ad essere applicata nei Tribunali.

Vediamo in tal senso alcune pronunce.

Il 10 gennaio 2011, il Tribunale di Milano ha riconosciuto che la mancata assegnazione di insegnanti di sostegno, ponendo gli alunni con disabilità in condizione di svantaggio rispetto agli altri, costituisce discriminazione indiretta.
L’Ordinanza emessa richiama anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006 e la Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto indefettibile il diritto all’istruzione e sostanzialmente dichiarato che l’assegnazione di insegnanti di sostegno, in quanto funzionale al soddisfacimento di quel diritto, non soggiace a vincoli di bilancio.
Con quel provvedimento, dunque, il Tribunale di Milano, emettendo un’Ordinanza «ai sensi della Legge 67 del 2006, rubricata “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” (G.U. n. 54 del 6 marzo 2006)», ha disposto il ripristino per i figli dei ricorrenti del numero di ore di sostegno fornito loro nell’anno 2009-2010.
E ciò, oltre ad essere rilevante perché un Giudice ha qualificato come discriminatoria una determinazione dell’Amministrazione e ha ordinato alla stessa un comportamento, assegnando un termine preciso entro cui provvedere, è importante anche perché tra i ricorrenti figurava un’associazione di tutela dei diritti delle persone con disabilità.
La Legge 67/06, infatti, estende la legittimazione ad agire per le ipotesi di discriminazione anche ad associazioni individuate con Decreto Interministeriale.
Già prima, però, del provvedimento di cui si è detto, si sono avute pronunce interessanti in materia di discriminazione.
Il 4 giugno 2009 il Tribunale di Taranto, Sezione di Martina Franca, riconosceva che una persona con disabilità era stata discriminata in occasione degli esami di abilitazione alla professione forense.
In particolare, quel Giudice aveva considerato discriminatorie la ritardata consegna del codice cartaceo, la postazione di lavoro che era stata assegnata al candidato (di fatto per lui inutilizzabile dalla sedia a rotelle, per via dell’altezza del piano di lavoro) e l’assenza delle forze dell’ordine all’ingresso, che avrebbero dovuto agevolare l’entrata del candidato nella sede di esame. In quel caso il Giudice quantificò il danno sofferto – patrimoniale e non patrimoniale – in 4.000 euro.
Va poi ricordata l’ordinanza del Tribunale di Tempio Pausania, in Sardegna, del 20 settembre 2007, nella quale il Giudice ha condannato un circolo nautico al risarcimento del danno in favore di una persona con disabilità in sedia a rotelle.
In tale occasione si è ritenuto discriminatorio il fatto che una barca fosse stata spostata senza avvertire il proprietario e che alla stessa persona con disabilità fosse stato impedito di affiancare al proprio natante un mezzo di sollevamento che avrebbe dovuto consentirle di passare dalla propria carrozzina all’imbarcazione stessa. Il dato interessante è che il Giudice, per quantificare il danno, ha deciso di centuplicare il valore della quota di iscrizione, arrivando così alla somma di 4.000 euro.
Queste pronunce sono dunque la testimonianza concreta di come il diritto a non essere discriminati delle persone con disabilità, sancito appunto nel nostro ordinamento dalla Legge 67/06 e a livello internazionale dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2006, stia trovando sempre maggiore rispondenza nella giurisprudenza di merito.

Oggi comportamenti e situazioni che impediscono alle persone con disabilità di avere una vita ordinaria trovano risposte adeguate nel nostro ordinamento.
Da un lato i risarcimenti e dall’altro l’attenzione che i Giudici hanno dimostrato per i dettagli delle attività della vita, sono segnali importanti che attestano la forza sempre maggiore che va assumendo oggi, in termini assolutamente concreti, il principio di parità di trattamento il quale, secondo l’articolo 2 della Legge 67/06, comporta che non possa essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità.
Infine, oltre ai profili risarcitori, che in questo caso attengono alla sfera del non patrimoniale e riguardano le attività realizzatrici della persona, è emerso il ruolo fondamentale delle associazioni di persone con disabilità che, anche attraverso sapienti azioni giudiziarie, potranno sempre più incidere nella società per promuovere l’inclusione delle persone disabili.

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Legge 1° marzo 2006, n. 67
"Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2006
Art. 1. (Finalità e ambito di applicazione)
1. La presente legge, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.
2. Restano salve, nei casi di discriminazioni in pregiudizio delle persone con disabilità relative all'accesso al lavoro e sul lavoro, le disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, recante attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Art. 2. (Nozione di discriminazione)
1. Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità.
2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga.
3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
4. Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.
Art. 3. (Tutela giurisdizionale)
1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all'articolo 2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
2. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti di cui all'articolo 2729, primo comma, del codice civile.
3. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l'adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
4. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui al comma 3, a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.
Art. 4. (Legittimazione ad agire)
1. Sono altresì legittimati ad agire ai sensi dell'articolo 3 in forza di delega rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata a pena di nullità, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti individuati con decreto del Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell'organizzazione.
2. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 possono intervenire nei giudizi per danno subìto dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse.
3. Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire, in relazione ai comportamenti discriminatori di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 2, quando questi assumano carattere collettivo.


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