Nel 2016 il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha richiamato l’Italia per la mancanza di misure rivolte alle specifiche esigenze delle donne con disabilità, raccomandando che la prospettiva di genere venisse integrata nelle politiche per la disabilità e che la disabilità stessa venisse incorporata nelle politiche di genere.
In tale ambito, una pietra miliare, prodotta in seno al
Forum Europeo sulla Disabilità, è il “Secondo Manifesto sui diritti delle Donne
e delle Ragazze con Disabilità nell'Unione Europea”, oggi disponibile in
italiano, grazie al Centro Informare un’H.
Possiamo pensare al Secondo Manifesto sui diritti delle
Donne e delle Ragazze con Disabilità dell’Unione Europea. Uno strumento per
attivisti e politici come ad un’opera di grande rilevanza etica, e in effetti
di questo si tratta, di uno straordinario lavoro di riflessione, elaborazione e
proposta per contrastare la discriminazione multipla che può interessare le
donne e le ragazze con disabilità, per il semplice fatto di essere sia donne
che disabili.
Tuttavia, una volta finito di leggere, la sensazione non è
quella di aver letto semplicemente un testo importante, ma quella di vedere
finalmente il mondo attraverso un paio di “occhiali puliti”, di scorgere
dettagli che prima non avevamo mai notato, di osservare la realtà da una prospettiva
ancora poco frequentata.
In una società che continua a trattare le persone con
disabilità come fossero “neutre”, per queste ultime è estremamente complicato e
faticoso esprimere tutte le dimensioni del sé.
Non c’è infatti, tra le stesse persone con disabilità, la
consuetudine di riflettere sui vari aspetti della vita in termini di genere (è
come se la disabilità sovrastasse e coprisse tutte le altre caratteristiche
della persona); né c’è tra le donne che si cimentano con le questioni di genere
(movimenti femminili e femministi) la perspicacia di incrociare questa
variabile con quella della disabilità. Sotto questo profilo, il Secondo
Manifesto, col suo taglio marcatamente operativo, può svolgere un’importantissima
funzione educativa.
Si tratta in sostanza di uno strumento di facile utilizzo e
grande flessibilità, una flessibilità tale da potersi adattare agevolmente alle
diverse specificità territoriali. Esso è strutturato in diciotto aree tematiche
che ne rendono intuitiva la consultazione: uguaglianza e non discriminazione;
sensibilizzazione, mass media e immagine sociale; accessibilità; situazioni di
rischio ed emergenze umanitarie; pari riconoscimento davanti alla legge e
accesso effettivo alla giustizia; violenza contro le donne; vivere nella
comunità; diritti sessuali e riproduttivi; istruzione; salute; abilitazione e
riabilitazione; lavoro e occupazione; standard adeguati di vita e di protezione
sociale; emancipazione e ruolo di guida; accesso alla cultura allo sport ed al
tempo libero; intersezionalità, genere e disabilità; raccolta di dati e
statistiche; cooperazione internazionale.
Il Secondo Manifesto, per altro, non è una novità editoriale.
Il Secondo Manifesto, per altro, non è una novità editoriale.
Il Primo Manifesto delle Donne con Disabilità, infatti, fu
adottato il 22 febbraio 1997 dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ed
ebbe il merito di richiamare l’attenzione, in modo molto forte ed esplicito,
sulla condizione delle donne con disabilità e sulle molteplici discriminazioni
a cui sono soggette; ebbe inoltre il merito di contribuire ad istituire un
Comitato Permanente di Donne all'interno dello stesso Forum.
In seguito, nel 2006, quando venne approvata la Convenzione
ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che introduceva anche a livello
normativo un nuovo paradigma basato sui diritti umani delle persone con
disabilità, divenne evidente che tutte le politiche, le normative, le direttive
programmatiche, e tutto quanto serve a definire gli interventi rivolti alle
persone con disabilità avrebbe dovuto essere rivisto e modificato alla luce dei
diritti e dei principi enunciati dalla Convenzione ONU stessa.
Il Secondo Manifesto scaturisce dunque da questa esigenza di
revisione, ed è stato adottato a Budapest, il 28 e 29 maggio 2011, dall'Assemblea Generale dell’EDF, in seguito a una proposta avanzata dal
Comitato delle Donne del Forum. Esso è stato approvato anche dall’European
Women’s Lobby, la “Lobby Europea delle Donne”.
Quando venne pubblicato, fu subito reso disponibile in
inglese, francese e spagnolo. Nelle intenzioni avrebbero dovuto essere
predisposte anche traduzioni in altre lingue – onde facilitarne la diffusione
in tutto il territorio dell’Unione Europea – ma questo proposito è rimasto
sulla carta.
La circostanza che anche nel nostro Paese – che pure ha ratificato la Convenzione ONU con la Legge dello Stato 18/09 – nessuna e nessuno, sino ad oggi, abbia avvertito l’esigenza di tradurlo in lingua italiana è un significativo indicatore dell’attenzione riservata a queste problematiche.
Lo scorso anno a Ginevra, esattamente nei giorni 24 e 25 agosto, a Ginevra, il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, organo preposto a verificare l’applicazione della Convenzione negli Stati che l’hanno ratificata, ha incontrato una delegazione del Governo Italiano, per comunicare le Osservazioni Conclusive al primo Rapporto Ufficiale dell’Italia sull'attuazione dei principi e delle disposizioni contenute nella Convenzione stessa.
La circostanza che anche nel nostro Paese – che pure ha ratificato la Convenzione ONU con la Legge dello Stato 18/09 – nessuna e nessuno, sino ad oggi, abbia avvertito l’esigenza di tradurlo in lingua italiana è un significativo indicatore dell’attenzione riservata a queste problematiche.
Lo scorso anno a Ginevra, esattamente nei giorni 24 e 25 agosto, a Ginevra, il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, organo preposto a verificare l’applicazione della Convenzione negli Stati che l’hanno ratificata, ha incontrato una delegazione del Governo Italiano, per comunicare le Osservazioni Conclusive al primo Rapporto Ufficiale dell’Italia sull'attuazione dei principi e delle disposizioni contenute nella Convenzione stessa.
Tante, in quella sede, sono state le preoccupazioni
espresse.
Ad esempio, l’esistenza di molteplici definizioni di
disabilità in tutti i settori e nelle regioni, che porta a una disparità di
accesso al sostegno ed ai servizi; o, ancora, la mancanza di supporti
sufficienti a consentire alle persone con disabilità di vivere in modo
indipendente su tutto il territorio nazionale.
In tale quadro, diverse preoccupazioni riguardano in modo
specifico le donne con disabilità: «Il Comitato è preoccupato perché non vi è
alcuna sistematica integrazione delle donne e delle ragazze con disabilità
nelle iniziative per la parità di genere, così come in quelle riguardanti la
condizione di disabilità» (punto 13) e «raccomanda che la prospettiva di genere
sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di
disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta
consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro
organizzazioni rappresentative» (punto 14).
Altre preoccupazioni con riferimento specifico alla
discriminazione legata al genere concernono le campagne di comunicazione di
massa, la violenza contro le donne, la mancanza di accessibilità fisica e delle
informazioni relative ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, e il
basso livello occupazionale delle donne con disabilità.
Queste discriminazioni che colpiscono maggiormente le donne
con disabilità, è bene sottolinearlo, si sommano a quelle che colpiscono in
ugual modo gli uomini e le donne con disabilità, generando un gravissimo
effetto moltiplicatore.
In un simile contesto, la traduzione del Secondo Manifesto,
ovvero, nello specifico, l’abbattimento delle barriere linguistiche,
rappresenta solo un piccolo segnale volto a promuovere l’emancipazione delle
donne con disabilità, e a evidenziare l’urgenza di intervenire in questo ambito.
Questo documento non allevierà le donne con disabilità dalla
fatica – comune a tutte e tutti, con o senza disabilità – di individuare ognuna
il proprio percorso, alla ricerca della forma specifica della propria libertà,
ma certamente potrà contribuire a creare le condizioni culturali e materiali
affinché il loro percorso di libertà non sia più difficoltoso di quello delle
donne senza disabilità, o degli uomini (con o senza disabilità).
Ana Peláez Narváez, che presiede il Comitato delle Donne del
Forum Europeo sulla Disabilità, ha concluso la sua introduzione al Secondo
Manifesto citando il motto «Nulla sulle donne con disabilità, senza le donne
con disabilità».
Ma questo non significa che le donne con disabilità debbano
fare tutto da sole, né che ogni aspetto della loro vita dipenda esclusivamente
dalla loro volontà.
Esse vanno rispettosamente supportate affinché possano
diventare protagoniste delle proprie vite.
È perciò fondamentale che ognuna e ognuno, per quanto di
propria competenza, e a tutti i livelli, si senta coinvolta/o nella
realizzazione di questo affascinante progetto, e si adoperi per fare in modo
che si concretizzi.
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