L’insegnante di sostegno nella legge 107 del 13 luglio 2015 (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/15G00122/sg)
Tra i vari e diversi decreti legislativi che il Governo è autorizzato a emanare in base a quanto previsto dai commi 180 e 181 dell’art. 1 della legge 107/2015, ve n’è uno che riguarda in modo specifico il processo di inclusione scolastica degli allievi diversamente abili.
Al comma 181, lett. c) si dice infatti che la
“promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e il
riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione” avverrà attraverso
“la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine di
favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche
attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria”.
L’espressione usata dalla legge è tanto sibillina
quanto preoccupante per i suoi possibili risvolti operativi e culturali.
In questo senso sembra che venga ipotizzata una
figura di insegnante di sostegno superspecializzato, non più agganciato a una
classe di concorso (almeno per quanto
riguarda la scuola secondaria di I e II grado), ma qualificato attraverso
una specifica formazione universitaria tutta centrata sui temi della
disabilità.
Sarebbe invece più opportuno pensare a una
abilitazione relativa alla propria area di competenza, completata da un serio
percorso specialistico sulla didattica inclusiva, che fornisca dei reali
strumenti per sostenere al meglio i ragazzi certificati nel percorso di
studio.
Infatti il passaggio non è chiaro, e il rischio di
approdare a un docente di sostegno “esclusivo” incombe.
Non dobbiamo sottovalutare la delega costante al
docente di sostegno da parte del Consiglio di classe, che ad oggi già
rappresenta uno dei maggiori ostacoli per l’inclusione scolastica.
Una sola figura non può farsi carico di tutta la
didattica volta all’inclusione di un allievo in un gruppo classe e all’interno
dei percorsi scolastici dedicati all’autonomia di vita o di metodo di studio e
all’incremento dell’autostima per i ragazzi con programmazione curricolare
semplificata.
La filosofia che ispirò la legge 517 del 1977 (e le successive normative) vedeva l’insegnante di
sostegno come una risorsa aggiuntiva per l’intera classe, che legava il
successo del processo di integrazione al coinvolgimento di tutto il gruppo
docente del Consiglio di classe.
Il docente di sostegno diveniva (ma lo è diventato?) un
regista del processo d’integrazione, attivando anche contesti e ambienti
formativi specifici e collaborando con i colleghi, pur sempre agganciati
coscientemente a una propria funzione didattica ed educativa, ma in un
contesto in cui ogni docente doveva svolgere coscientemente il proprio
ruolo all’interno di tale processo.
D’altra parte la figura di sostegno specializzato per
un solo allievo, diviene autoreferenziale e naturalmente distaccata dalle
dinamiche della classe, nonché potrebbe comportare il rischio di percorsi
speciali separati.
Una criticità del genere è alla base dei problemi
dell’inclusione odierna.
Tutto ciò lede i diritti dei ragazzi, che non possono
avere una programmazione pensata, svolta e verificata da un unico docente con
voce in capitolo.
Per quanto riguarda gli studenti con programmazione
curricolare con obiettivi minimi, non è pensabile un’unica figura che li possa
seguire con un’efficace metodologia didattica su tutte le materie del
curricolo.
L’insegnante di sostegno è un facilitatore, ma se non
partecipa alle fasi di programmazione delle discipline, come può facilitare le
stesse?
A dire il vero questo non è ancora delineato nella
legge.
La criticità della delega all’insegnante esclusivo non
è una paura infondata, basti pensare alla reazione e all’atteggiamento
ostruzionista del corpo docente odierno verso i BES (Bisogni Educativi Speciali) in genere.
Attualmente ci sono interi Consigli di classe che si
scontrano sulle modalità di applicazione dei PDP (Piano Didattico Personalizzato), che talvolta si rifiutano di
attuare perché rappresentano un carico di lavoro aggiuntivo, che a loro avviso
in parte non gli compete.
Si sente invocare continuamente la figura di uno
specialista che si faccia carico della stesura del materiale specifico e che
possa dare indicazioni precise sul da farsi agli insegnati già tanto
oberati.
Il pericoloso processo di delega, che tanto è
stato paventato in questi anni rischia di verificarsi e di portare il
consiglio di classe alla deresponsabilizzazione nei confronti del
processo di inclusione, che dovrebbe coinvolgerlo interamente,
mentre addirittura la normativa lo giustificherebbe (visto che ci sarà un docente appositamente
formato e nominato allo scopo).
Una lettura restrittiva e iperspecialistica della
legge 107 può portare purtroppo a questi risultati.
Eppure è possibile intraprendere un’altra strada,
rispetto alla settaria separazione delle carriere, molto più innovativa: quella
della specializzazione sui processi di inclusione anche per tutti i futuri
docenti neo assunti; in questo senso nel giro di qualche anno potremmo avere
docenti non solo laureati come tutti, ma nel contempo tutti specializzati sui
temi della disabilità e dell’inclusione, con una reale assunzione di
responsabilità da parte di tutti i docenti.
La mancanza di questa presa di coscienza, per non
parlare dell’ignoranza del CDC (Consiglio
Di Classe) e di alcuni Dirigenti scolastici, è il primo motivo del disagio
e della frustrazione, che porta all’abbandono i docenti di sostegno, (soprattutto di quelli più preparati e
motivati) che spesso si sentono perennemente in conflitto, alienati, e
trattati quotidianamente come docenti di serie B da colleghi che, per mancanza
di preparazione adeguata, esordiscono spesso in modo ignorante e
imbarazzante, non di rado anche di fronte ai ragazzi in classe.
Il vero esodo dal sostegno alla materia è dovuto in
larga misura ai docenti che non collaborano e rendono farraginosi i processi di
inclusione.
Nasce così una faticosa battaglia motivata da una
grande passione, che sfianca letteralmente l’insegnante di sostegno, che decide
di ripiegare sull'insegnamento della materia (per riacquistare un minimo di autostima e soddisfazione) o
sull’autoreferenzialità nei confronti dei soli casi differenziati, dove nessun
altro docente “mette bocca”.
Non a caso è perenne il dilemma se far passare un
allievo da semplificato a differenziato all’interno dei CDC, dove i docenti
raramente sono concordi sul raggiungimento degli obiettivi minimi, anche da
parte di allievi certificati aventi quozienti intellettivi sufficienti per
perseguirli.
Ritornare al modello culturale della separazione,
anche se realizzato dentro le classi comuni, porterà probabilmente gli alunni
diversamente abili ad essere reale competenza del solo insegnante di sostegno.
È noto che questo stretto legame tra insegnante di
sostegno e alunni disabili è gradito anche da molte associazioni dei genitori
dei disabili, preoccupati della mancanza di continuità didattica che la scuola
non sempre riesce a garantire nel processo di integrazione.
D’altra parte è necessario pensare a una maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno, che deve essere oggetto di un’ampia e curata formazione continua verso le didattiche innovative e i linguaggi, per favorire la comunicazione dei contenuti disciplinari (anche attraverso il linguaggio dei segni e il Braille).
D’altra parte è necessario pensare a una maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno, che deve essere oggetto di un’ampia e curata formazione continua verso le didattiche innovative e i linguaggi, per favorire la comunicazione dei contenuti disciplinari (anche attraverso il linguaggio dei segni e il Braille).
È fondamentale pensare che per accedere a questo tipo
di insegnamento, si deve essere disponibili e portati verso la flessibilità
e la costante ricerca, per facilitare la comunicazione dei contenuti verso
le varie tipologie di handicap.
Il docente abilitato per il sostegno deve studiare più a lungo e in modo
più specifico (non sono efficaci i corsi di un anno o come negli ultimi tempi
ridotti a 800 o 400 ore). La vocazione a questo tipo di impiego, deve palesarsi
attraverso una forte motivazione, che porta gli aspiranti dopo la laurea a
prolungare gli studi universitari con corsi biennali specialistici (comprensivi di periodi di tirocinio attivo
eventualmente retribuiti) e ad attuare una ricerca innovativa costante,
come specialisti di una didattica compensativa e inclusiva.
Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economico, ogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.
Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.
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