È bello che fioriscano nel nostro Paese associazioni e iniziative più o meno
note visto che non siamo solo oggetti di cura ma protagonisti della nostra
vita.
Ma, non scordiamo che è l'intera collettività che deve combattere contro
le discriminazioni e le barriere.
Conoscete Iacopo Melio, Max Ulivieri, Bebe Vio?
Sono solo alcuni esempi di
attivisti che, in Italia, si impegnano per la difesa dei diritti delle persone
con disabilità e per promuovere una rivoluzione culturale e socio-politica nel
modo in cui la disabilità viene “costruita”, percepita e vissuta sia dai
disabili stessi sia dalla società.
Ma, il vento del cambiamento proviene da
lontano.
I primi movimenti di attivisti per la difesa dei diritti delle persone
con disabilità risalgono a circa metà del XX secolo in Gran Bretagna, come
risposta alle molteplici discriminazioni subite a livello sociale ed economico.
Questo tipo di attivismo poggia le sue fondamenta teoriche sul modello sociale
della disabilità, secondo cui la disabilità non coincide con i deficit
individuali bensì con le caratteristiche della società, ritenute
«disabilitanti».
IL CAMBIO DI PROSPETTIVA.
Esemplificando, disabile non è la persona in sedia a
rotelle ma, l'edificio con la scalinata e privo di ascensore, poiché tali
caratteristiche impediscono l'accesso a chi non può camminare sulle proprie
gambe.
Il modello sociale, nelle sue diverse declinazioni, è stato
rivoluzionario soprattutto nelle sue ricadute pragmatiche: affrancarsi da una
visione che associava la disabilità alla patologia organica individuale, quindi
al corpo, per abbracciare una prospettiva che la attribuisce alla struttura
sociale, ha significato togliere, o per lo meno ridimensionare molto, il potere
che il modello medico e i suoi esperti esercitavano sulla vita delle persone,
restituendolo in primis ai disabili stessi e poi anche alla collettività.
LE BATTAGLIE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE.
«Niente su di noi senza di noi»,
un'espressione coniata in quegli anni, è divenuta poi il motto dei movimenti
per la difesa dei diritti delle persone con disabilità. L'Unione dei Disabili
Fisici contro la Segregazione fondata nel 1972 (Upias, ovvero Union of the
Phisically Impaired Against Segregation) è stata la più importante
organizzazione a essere associata al modello sociale della disabilità. Le lotte
a favore di una legislazione antidiscriminatoria che dichiarasse illegittima la
disparità di trattamento nei confronti di persone con disabilità e le campagne
a favore del pagamento diretto, ovvero mirate a far sì che lo Stato eroghi
denaro ai cittadini disabili invece di imporsi nella scelta dei servizi a loro
beneficio, sono solo degli esempi di azioni politiche portate a compimento in
quegli anni.
Il nostro Paese, invece, ha una storia di attivismo molto più recente e forse
meno “corposa”.
Sarà la vicinanza al Vaticano o qualche altra misteriosa
ragione, ma la mia impressione, in linea generale e fatte salve le dovute
eccezioni, è che si preferisca approcciarsi alle persone disabili più come
oggetti di cura, che come soggetti protagonisti della propria vita e
responsabili delle proprie scelte.
LE REALTÀ ITALIANE.
Tuttavia qualcosa sta cambiando anche qui.
La partenza è
sempre il protagonismo e la presa di posizione di chi vive la condizione di
disabilità sulla propria pelle.
Cominciamo citando gli esempi più noti:
- la Onlus Vorrei prendere il treno fondata da Iacopo Melio, a favore dell'abbattimento delle barriere architettoniche e del diritto all'accessibilità per tutti;
- il progetto Loveability di Maximiliano Ulivieri e il disegno di legge per l'istituzione del ruolo professionale di assistente sessuale (sono stati da poco avviati i primi corsi di formazione per assistenti sessuali a Bologna);
- la squadra di Ambasciatori dello sport paralimpico italiano capitanata da Alex Zanardi e con la presenza, tra gli altri atleti, di Bebe Vio, che sta entrando nelle scuole e negli ospedali con l'obiettivo di raccontare, attraverso le esperienze personali dei campioni e delle campionesse, l'importanza e il diritto delle persone con disabilità, di praticare sport.
IL DISABILITY PRIDE. Esistono anche realtà forse meno note, come il Mid,
Movimento Italiano Disabili, movimento socio-culturale e di sindacato
ispettivo, che ha la finalità di promuovere la partecipazione dei disabili
all'attività politica e sociale nonché il rispetto dei loro diritti.
Abbiamo
già conosciuto il Disability Pride Italia, iniziativa itinerante al suo secondo
anno di vita, che organizza giornate dense di momenti di incontro, dialogo e
confronto tra attivisti, cittadini comuni, associazionismo e istituzioni sugli
argomenti più “scottanti”: diritto alla sessualità, al lavoro, turismo
accessibile, eliminazione delle barriere architettoniche, e così via.
Ci sono progetti e gruppi che conosco più da vicino.
Il primo è il progetto
dell'Associazione di promozione sociale disMappa che dal 2012 si occupa di
valorizzare il centro storico di Verona, tramite la mappatura di luoghi ed
eventi accessibili.
Diventata la più dettagliata in Italia, con oltre 700 punti
di interesse segnalati, la mappa permette di visitare e vivere la città senza
barriere.
Figlia del progetto è Casa disMappa, l'abitazione totalmente
accessibile, che, nel centro della città di Romeo e Giulietta, offre ospitalità
gratuita ai turisti in carrozzina.
Per finire con gli esempi, esaurienti ma
sicuramente non esaustivi, il gruppo desiderAbili , composto da disabili e non,
che, sempre a Verona, si occupa di diritto alla sessualità, alla vita
indipendente e all'autodeterminazione, promuovendo occasioni di confronto su
questi temi con la cittadinanza e le istituzioni veronesi.
SIAMO GLI ESPERTI DI NOI STESSI. Insomma, anche nel nostro Bel Paese inizia a
esserci un certo fermento.
Da persona con disabilità, non posso che essere
contenta di tutta questa fioritura di movimenti, gruppi, associazioni composti
da individui consapevoli dell'importanza di conquistare il diritto di “avere
voce in capitolo”, anzi di più, di essere i primi a prendere decisioni in
merito alle questioni che ci riguardano.
I primi “esperti” di noi stessi siamo
noi stessi, potremmo dire.
E questo vale non solo per tutte le categorie
sociali, ma, credo, pure per ogni singolo individuo.
UNA QUESTIONE DI TUTTI. Ciò non significa, però, che gli unici a occuparsi di
disabilità, debbano coloro che versano in questa condizione.
Sia perché
garantire il pieno e soddisfacente sviluppo dell'individualità e della
possibilità che ciascuno si autodetermini non è soltanto una responsabilità
individuale o di una categoria bensì dell'intera collettività che quindi deve
sentirsi chiamata in causa, sia per il fatto che avere una disabilità,
momentanea o permanente, anche solo dovuta all'invecchiamento, capita a tutti,
prima o poi. Non toccatevi gli attributi, non servirà.
Il segreto penso stia
nel posizionamento che dovrebbero auspicabilmente avere gli “abili” quando
affrontano questioni riguardanti la realtà “disabilità”, e cioè mantenendo un
atteggiamento di ascolto e rispetto nei confronti di chi, vivendola sulla
propria pelle, ne sa più di loro.
Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economico, ogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.
Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il 340 50 688 73.
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