La mamma Claudia, romana, 49 anni, madre di altri due figli, non si nasconde
dietro alla retorica: «Angelo ha 12 anni ed ha la sindrome di down, averlo è stato
lottare fin dal primo giorno. Nessuno ti prepara, e anche la scuola non sempre
è pronta ad aiutarti»
Dodici anni, e di questi la metà passati ad abituarsi ad un insegnante di
sostegno diversa: ogni anno un addio, ogni anno una rinuncia, ogni settembre un
«ricominciamo tutto daccapo». Per Angelo, e per la sua famiglia, la strada è da
sempre in salita: da quel giorno in cui, all'ospedale San Camillo, hanno detto
ai suoi genitori che il suo patrimonio genetico era diverso, «speciale», come
dicono adesso negli ambienti raffinati. «Mi sono sentita persa».
MILANO. «Mio figlio è disabile, ha la sindrome di Down. Punto», chiosa Claudia
Cecchini, 49 anni, madre romana di tre maschi dai 14 ai 9 anni.
«Lui è il
figlio mediano, e appena l'equipe ospedaliera mi ha informata mi sono sentita
persa.
Nessuno ti prepara, nessuno ti accoglie: una psicologa dell'ospedale mi
ha dato il suo bigliettino, ma per una visita privata».
All'epoca Claudia
ancora lavorava, ma dopo qualche mese ha capito che non poteva più
permetterselo: «Mi avevano concesso il part-time verticale, ma non bastava per
accompagnarlo a tutte le visite e terapie. Angelo ha cominciato a camminare a
18 mesi, e l'Asl ci ha interrotto la fisioterapia. Ma gli serviva ancora, per
imparare tanti movimenti, e ho iniziato a pensarci io, accompagnandolo e
pagando. Poi pensavano fosse autistico, perché non parlava, e così gli hanno
tolto anche il logopedista: ma ho richiesto ben tre diagnosi di tre diversi
ospedali pubblici e mi hanno tutti confermato che era un bambino vispo,
curioso, intelligente. Così abbiamo continuato a pagargli anche la logopedia.
Infine, la scuola, che disastro».
«Quando ho iniziato a vederlo come un bambino con sogni e desideri»
Quella di Claudia e suo marito, impiegato alla Telecom che mantiene
faticosamente la famiglia, è la vicenda che tutti i genitori di ragazzini
disabili vivono almeno una volta nella vita: la scuola che non offre tutte le
ore di insegnamento di sostegno richieste, le trafile presso i tribunali, i
Comuni, i dirigenti scolastici, l'attesa dell'insegnante nuovo che cambia
sempre e non si sa se sarà specializzato oppure sarà capitato lì per caso,
perché non voleva trasferirsi. «All'inizio ci sono cascata, mi avevano
assegnato 30 ore e mi sono accontentata di meno della metà: mi hanno detto che
per compensare mi avrebbero dato altre ore di supporto da parte degli
educatori: ma loro servono per i bisogni di assistenza, li accompagnano al
bagno o in mensa, non sono docenti. E così a mio figlio sono mancati i
fondamentali». Ogni anno, lo stesso copione alla scuola Mozart dell'Infernetto,
come in tanti altri istituti italiani: assenti, supplenti, precari, gli
insegnanti di sostegno sono stati ballerini fino alla quarta primaria, quando
qualcosa è scoppiato: «Angelo non era riuscito a entrare in sintonia né con
l'insegnante prevalente né con quella di sostegno, ha iniziato a picchiare i
fratelli, era aggressivo e isolato, non sapevamo che fare. L'ho dovuto ritirare
da scuola, mi hanno detto che il problema era il mio». È a quel punto che
Claudia ha incontrato un'altra mamma, laureata in psicologia, che l'ha messa
sulla strada giusta: «Angelo ha cambiato classe, ha iniziato finalmente a
scrivere lettere e numeri, non ci sembrava vero». Claudia intanto era entrata
in contatto con l'associazione Deesi, la FIRST e con un pedagogista di Bologna,
Niccolò Cuomo, che le ha dato un'altra prospettiva: «Ho iniziato a considerarlo
un bambino con desideri, emozioni, voglia di esistere, non solo come un figlio
di cui occuparmi. Grazie a loro mio figlio ora è autonomo, sa andare agli sport
da solo, si sa preparare un pasto da solo».
«Non se ne parla, ma tanti sono restii ad accettare un disabile»
Eppure la rete, quella auspicata dalla 328 del 2000, non si è mai attivata:
«Gli insegnanti della scuola non hanno mai voluto mettersi in contatto con
l'equipe di Bologna per capire come trattare mio figlio. Così alle scuole medie
è ricominciato il calvario. L'insegnante di sostegno mi ha subito detto che
dopo 30 anni non aveva niente da imparare. Hanno trovato mio figlio nudo in
bagno che non voleva entrare in classe, lei ha chiesto di essere spostata.
Quest'anno non è andata meglio. In tre settimane abbiamo avuto solo supplenze,
ora è arrivato un insegnante non specializzato e non abilitato. Eppure ci sono
periodiche riunioni operative del gruppo lavoro handicap, che dovrebbe
stabilire come attuare al meglio il diritto allo studio per il bambino». Ma la
scuola, cos'ha dato ad Angelo? «La possibilità di confrontarsi con i suoi
simili, facendo le cose insieme agli altri: è difficile, nessuno lo dice, ma
anche nei centri sportivi o nei centri estivi sono restii ad accettare i
bambini con qualche handicap, con la scusa di non avere personale adatto li
rifiutano. Però dal punto di vista didattico non ci ha dato quasi niente:
Angelo non parla, non legge, non scrive. La scuola dovrebbe essere alleata
della famiglia, e per noi non è stato così». I nemici di Claudia, in questi
anni di lotta silenziosa, sono stati «tutti quelli che pensano ai disabili come
dei pesi, che a parole dispensano consigli ma di fatto non intervengono, tutti
quelli presuntuosi e supponenti che ci hanno fatto sentire inadeguati».
«È felice per poco, e sa renderci felici»
Eppure, nella forza di Claudia, si intravede anche il bello della sua storia da
mamma di Angelo: «La sua semplicità, la felicità del suo sorriso, totalmente
spontanea: lui è felice per una farfalla, per il sole, perché qualcuno gli
sorride, per i fratelli che giocano con lui». Claudia e la sua famiglia hanno
imparato a relazionarsi con lui, con i toni di voce, gli sguardi, i gesti: «Non
è detto che tutti dobbiamo esprimerci in modo convenzionale, non siamo tutti
uguali». Così lei, la mamma coraggio che ostenta sicurezza anche quando la voce
un po' le trema, fa fatica a capire chi rifiuta un Down, come le sette famiglie
che hanno finito per far affidare a Napoli una bambina sola ad un single: «Non
giudico nessuno, capisco che ormai si vive nell'epoca della perfezione, nessuno
vuole avere disagi, disturbi, impegni: nessuno vuole pensare. E invece i
bambini come Angelo ti costringono a cambiare rotta».
Riguardo al presente argomento ed altre problematiche delle persone con disabilità e con disagio sociale ed economico, ogni venerdi alle 18.00, presso la sede dell'Associazione "Contro le Barriere" (Taranto - Via Cugini n. 39/40), un gruppo di persone, denominato provvisoriamente, TARANTO SENZA BARRIERE, si riunisce per organizzare attività di sensibilizzazione ed iniziative atte alle risoluzioni delle problematiche rilevate.
Una di queste iniziativa riguarda la raccolta firme per la seguente petizione popolare:
Per ulteriori informazioni al riguardo contattare il
340 50 688 73
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