È l’8 marzo e voglio affrontare
un tema che mi sta molto a cuore: la femminilità delle donne con
disabilità.
Io sono una portatrice di un
handicap fisico, oggi ho 44 anni; una sofferenza perinatale – causata da una
nascita asfittica – mi ha provocato una paralisi motoria.
In seguito a ciò, a sei mesi hanno previsto per
me una vita in sedia a rotelle, senza alcuna possibilità di movimento e di
linguaggio.
Grazie a miei primi… trent’anni, spesi
all’inseguimento di ogni tipo di recupero, sono arrivata ad avere una tale
autonomia che – nonostante alcune difficoltà nella deambulazione – posso vivere
da sola, ho due lauree, lavoro al centro documentazione del Corriere della Sera e ho una vita ricca di interessi e di
amicizie.
Da molto tempo mi occupo di
comunicazione sociale.
Sono riuscita anche a pubblicare
la mia autobiografia: Una storia che non sta in piedi,
dove cerco di trasmettere ai lettori e alle lettrici il concetto secondo
cui non c’è una vera differenza tra
«normalità» e «disabilità».
Per me ogni essere umano è diverso
dall’altro e ognuno di noi ha un proprio potenziale da esprimere, quindi ogni
soggetto umano ha la propria dignità e gli stessi diritti e doveri.
Ma torniamo al tema della
femminilità delle donne disabili.
Come dicevo, ci tengo molto.
È per questo che nell’anno 2000 sono stata protagonista di un
calendario.
Penso che molti di voi si
ricordino quante donne belle e famose si siano spogliate per calendari che
celebravano l’avvento del nuovo millennio.
Io volevo dimostrare che una portatrice di
handicap non solo si può paragonare a una «donna normale», ma può anche fare le
stesse cose di una star.
E così che ho finito per posare in
fotografie osé per il calendario «Angeli Nudi».
Questo mio spogliarmi è stata
una provocazione affinché l’opinione pubblica potesse comprendere ed essere
sollecitata a riflettere sulla non differenza tra «diversità» e «normalità».
In questi giorni mi è capitato di
leggere su molte riviste articoli che parlano del film The Session,
pellicola sulla sessualità dei disabili.
La cosa che più mi ha stupita e
mi ha fatto riflettere è quanto si dia per acquisito che
la donna disabile non possa avere una sua sessualità.
Nel film stesso, come nella
maggior parte dei casi, la sessualità dei disabili è considerata con una
valenza solo maschile.
Questa tematica non riguarda
invece solo gli uomini disabili, ma anche le donne diversamente abili.
Anche noi abbiamo una
femminilità che deve essere espressa in tutte le sue forme, così come avviene
per qualsiasi altra donna.
In nome di tutte queste
considerazioni, voglio rivolgermi – nel giorno dell’8 marzo – a tutte le donne
che definirei «diverse» perché hanno un problema fisico, ma comunque tutte
munite di una propria ragione, e vorrei chiedere loro di lottare e di farsi
valere proprio come fanno le donne in ogni ambito della loro vita.
Non dovete avere paura di
esporvi.
Non sentitevi menomate,
mancanti di qualcosa rispetto alle altre donne.
Mostratevi, chiedete, date
valore a voi stesse proprio in quanto donne.
E buon 8 marzo soprattutto a
voi, a noi.
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