La disabilità non è una mancanza, ma una dimensione della diversità.
In Italia il sesso è ancora un tabù:
la psico-sessuologia non è una disciplina riconosciuta.
L'educazione sessuale non esiste, se
non per iniziativa di alcuni istituti scolastici.
Nella gran parte dei Paesi europei è
obbligatoria dalle elementari alle superiori.
La disabilità non è una sola, la sessualità invece sì.
La disabilità non è una sola, la sessualità invece sì.
Pensiamo alla disabilità sensoriale
per esempio: le persone non vedenti o non udenti che possono vivere la
sessualità in modo assolutamente sereno.
Ancora diversi sono i casi di disabilità motoria: c'è chi non ha nessuna difficoltà e chi invece non ha le informazioni o gli ausili corretti.
Ancora diversi sono i casi di disabilità motoria: c'è chi non ha nessuna difficoltà e chi invece non ha le informazioni o gli ausili corretti.
Ma ci sono altri casi, pensiamo per
esempio allo spasticismo: senza un adeguato supporto educativo ci si trova in
una situazione di isolamento.
Se poi si parla di disabilità
cognitive e casi psichiatrici, la situazione si complica ancora di più.
Si va da situazioni in cui non c'è
nessun tipo di problematica, al tabù più assoluto.
Ci sono dei falsi miti, difficili da
sfatare, come considerare un diversamente abile «un angelo» o un «eterno
bambino».
Quando durante la pubertà si vedono
delle espressioni di piacere o ricerca del piacere, chi sta vicino a questi
ragazzi si trova in una situazione difficile.
Senza gli strumenti giusti, quando
compaiono impulsi e desideri sessuali si tende a ignorarli o rifiutarli.
A chi spetterebbe accompagnare chi è
in difficoltà?
Spetta a chi circonda la persona
disabile, i genitori, i familiari e gli operatori professionali.
Al momento però non c'è stato
nessuno sforzo sistematico in questa direzione.
Nella stragrande maggioranza delle
strutture che accolgono le persone disabili non esistono le giuste
professionalità.
Nel nostro Paese non esiste una
legge sulla sessualità assistita, come
in altri Paesi europei.
Il primo passo sono educazione e
formazione: chi lavora o vive con una persona disabile dovrebbe essere messo
nelle condizioni di reagire nel modo corretto.
Poi c'è l'assistenza sessuale: non
fredda prestazione sessuale.
Vanno formati operatori capaci di
creare una situazione in cui la menomazione non è limite all'appagamento di
bisogni sessuali ed affettivi.
A chi ci si può rivolgere?
Per una famiglia è difficile trovare
la persona giusta, perché in Italia non esistono assistenti sessuali formati.
Se una famiglia si rivolge a un sex
worker che non conosce la patologia, si possono fare dei gravi danni.
L'isolamento del disabile, con il
nucleo familiare che pensando di proteggerlo, si chiude.
Non sono rari i casi in cui sono i
genitori a soddisfare i figli, con un dramma nel dramma.
Bisogna parlare della sessualità,
che non è un "di più" o qualche cosa che si può mettere da parte.
Si inizia dall'accettazione e dall'educazione.
Si prega leggere questo appello, al seguente link:
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