Ciao, perdonami se ti scrivo come a una vecchia amica, solo perché, quasi 16
anni fa, ci siamo sfiorati per un momento.
Forse eri accanto a me, ho sentito
il tuo alito freddo mentre ero steso agonizzante sull’asfalto.
Sì proprio quel
25 aprile quando una vettura non rispettò uno stop e mi centrò, per poi
dileguarsi nella notte.
Scusami se quella sera mi sono sottratto al tuo gelido
bacio, ma avevo ancora qualcosa da fare.
Sai a 26 anni avevo una vita da
vivere, sogni da realizzare. Tanto lo so che sei paziente, sai aspettare,
nell’attesa divori vite anche le più giovani e meritevoli. Nessuno può
sottrarsi al tuo abbraccio, nessuno può scansarti, evitarti o rimandare un
appuntamento con te.
Mi hanno chiesto di parlare di te, amica morte, perché da qualche tempo non sei
più un tabù. Anche per te passano gli anni, ops i millenni. Ti ho pensato quando si è tolto la vita Piero Petrullo, quel tipo allegro, tosto, in sedia a rotelle dopo un incidente, il batterista dei Ladri di Carrozzelle.
Ha deciso di
raggiungerti qualche giorno prima della serata sul palco dell’Ariston. Quando
avrebbe ritrovato gli amici di sempre. Ha deciso di liberarsi di un involucro
stretto e faticoso per volare via come una farfalla.
E ora Dj Fabo, cieco e tetraplegico a causa di un sinistro stradale, che si è spento in Svizzera, dopo che una lunga notte era calata su di lui, affievolendo la luce e l’intensità che avevano sempre caratterizzato la sua vita.
Difficile descrivere il rapporto con la morte di chi si è avvicinato a lei in passato. Difficile descrivere quell’esperienza, che la mia parte più razionale incasella tra gli effetti secondari di dosi massicce di antidolorifici e medicinali. L’assenza di peso, il nulla che grava sul fisico e nel cuore. Sospesi come nel ventre materno lontani dal dolore, dalla fatica, da contrasti o lotte. Sospesi come Peter pan in un giorno di nebbia su un prato. Leggeri come sollevati da quel corpo che poi, una volta tornato su queste terra, si trascina quotidianamente.
Liberi, liberi di respirare. E non lente lumache appesantite dalla chiocciola sulle spalle. Una lumaca con grandi progetti, immensi sogni a cui, assai lentamente, ci avviciniamo. Chi ci guarda negli occhi legge questa voglia di vivere, chi ci guarda nel cuore scopre il nero del dolore. Dolore anche fisico il loro. Nel mio quel senso di impotenza che uccide lentamente. Quel senso di impotenza che ti accompagna dal primo risveglio quando litighi con il letto e ti carichi a peso morto sulla sedia a rotelle fino a sera quando su quel letto trovi un po’ di pace, magari con il corpo che fatica ad assumere la posizione stesa e rimane seduto su una sedia a rotelle. Poi arriva la notte, la cosa più simile alla morte, che ti abbraccia e ti culla. Forse per questo non abbiamo paura di lei. È lei che ci dà ristoro…
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Si prega leggere un appello dei soci dell’Associazione "Contro le Barriere", al seguente link:
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