La vicenda di Charlie Gard, il bimbo di nemmeno un anno al quale i tribunali inglesi e la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, su giudizio dei medici dell’ospedale londinese Great Ormond Street dove è ricoverato, hanno deciso di interrompere gli interventi medici che lo tengono in vita, apre molti interrogativi sul modo in cui la società accoglie le persone che abbiano determinate caratteristiche, considerate “socialmente indesiderabili”.
Pertanto, è doveroso evidenziare i temi principali del documento "L’approccio bioetico alle persone con disabilità", prodotto dal
Comitato Nazionale di Bioetica della Repubblica di San Marino.
Il primo tema riguarda la genitoralità.
Nel primo Convegno Mondiale su Bioetica
e Disabilità, organizzato nel 2000 a Birmingham da DPI Europe (Disabled
Peoples’ International), l’Associazione Europea della spina bifida sottolineava
che il rapporto tra i genitori e un bambino con una forte limitazione
funzionale o una patologia che lo porti alla morte precoce, è qualcosa di
profondo, che ha a che vedere con la relazione che si crea al momento della
nascita.
È un rapporto d’amore e allo stesso tempo una responsabilità che i
genitori si assumono per proteggere quella vita.
Il fatto che i tribunali possano decidere al posto dei familiari non è tollerabile. Ma su cosa hanno deciso i tribunali? Su due argomentazioni: la
prima che il bambino ha una malattia incurabile e quindi è destinato a morire.
Il tema riguarderebbe solo diciannove bambini al mondo e quindi gli interventi
sanitari risulterebbero inutili, anzi rappresenterebbero una sorta di
accanimento terapeutico che farebbe soffrire il bambino stesso.
Ma cosa sarebbe
successo se all'inizio di una malattia mortale oggi curabile – come è accaduto
per tante malattie degenerative, si fosse intervenuto in passato per
interrompere le cure e la ricerca su quella patologia?
Che molte malattie oggi
curabili non avrebbero avuto una ricerca appropriata e oggi sarebbero ancora
incurabili.
Il principio utilitaristico teorizzato da Jeremy Bentham tra Sette e Ottocento,
di non investire su pochi casi risorse economiche ed umane, ma di preservare
gli interessi della maggioranza della popolazione, cozza oggi con la tutela dei
diritti umani di tutte le persone viventi e in particolare sul principio fissato dall'articolo 10 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con
Disabilità [“Diritto alla vita”: «Gli Stati Parti riaffermano che il diritto
alla vita è connaturato alla persona umana ed adottano tutte le misure necessarie
a garantire l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con
disabilità, su base di uguaglianza con gli altri»].
Si tratta di un’evoluzione delle leggi e degli interventi di tutela dei diritti
umani, introdotte nel 1948 dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
dell’ONU. Infatti, il caso di Charlie solleva il seguente tema: a chi deve
essere applicata la ricerca, in questo caso medica?
E questa ricerca vale per
tutti gli esseri umani in maniera eguale, o per alcuni le risorse non debbano
essere investite perché si tratta di un numero esiguo di individui?
Il secondo argomento, trascurato dagli organi di informazione, è che gli
interventi su Charlie sono costosi e applicarli a una vita che non durerà molto
(in qualche modo, dunque, “inutile”) è uno “spreco”.
Infatti, dietro la motivazione che si sottoponeva Charlie a una
sofferenza inutile, per i tribunali c’era questa motivazione economica, già
intravista nella nostra esperienza quotidiana, quando scopriamo che non si
investe sulle cure per i pazienti molto anziani, che i trapianti non dovrebbero
essere fatti su persone con disabilità intellettive, che i farmaci costosi non
possono essere prescrivibili e così via.
È un tema, sollevato di recente anche dai coniugi Gard, quando hanno
dichiarato che Charlie morirà perché loro non hanno le risorse economiche per
curarlo, che nei prossimi anni diventerà uno dei primi nell'agenda mondiale:
se i diritti dipendono dalle risorse, solo chi potrà permettersi cure costose potrà
accedere a interventi sanitari, mentre i meno ricchi dovranno accontentarsi di
ciò che potrà essere garantito dai servizi sanitari pubblici.
Però le risorse e
la crescita economica non dovrebbero essere al servizio della tutela dei
diritti umani di tutti gli esseri umani viventi?
Il diritto alla vita di Charlie, invocato dalla responsabilità genitoriale del
papà e della mamma, e da milioni di persone nel mondo, ci riguarda.
Infatti è
bastato che l’Ospedale Bambino Gesù di Roma dicesse «lo voglio curare io» e
applicare un protocollo di ricerca su quella patologia, perché si squarciasse
il sipario che nascondeva la decisione dei tribunali, rendendo chiaro e meno
difendibile il livello di discriminazione nell'accesso ai servizi sanitari cui
era sottoposto il bimbo.
Vicende come quelle di Charlie ci riguardano, non solo per le emozioni che
suscitano, ma anche per le implicazioni bioetiche che le accompagnano. Ognuno
di noi, infatti, potrebbe trovarsi in situazioni vicine a quelle di Charlie e
vedersi negate le cure.
Il mondo non è fatto solo da coloro che vogliono
interrompere la propria vita perché la considerano inaccettabile (sul tema
dell’eutanasia assistita si dovrebbe riflettere in maniera ben più ampia di
quella che appare sui giornali), ma anche da coloro che la vita la vogliono
difendere in forma eguale rispetto alle altre persone.
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