Tra le scempiaggini e le inutili polemiche diffuse dai social network ogni tanto compare la segnalazione di un argomento di peso.
È il caso di un post
lanciato nei giorni scorsi, un video in cui una ragazzina Down segnala una
situazione inquietante, totalmente ignorata dalla grande comunicazione.
Racconta che in Islanda da 5 anni non nascono bambini con la trisomia 21.
Si
potrebbe credere che si tratti di una buona notizia. Non è così.
La verità è
che i bambini cui è diagnosticata attraverso l'amniocentesi la sindrome in
questione vengono abortiti.
Accade anche altrove.
Nei prossimi dieci anni
probabilmente la Danimarca raggiungerà il primato islandese, mentre Spagna,
Stati Uniti e Regno Unito già ora hanno un tasso di aborti di bambini Down del
90%.
Il messaggio della ragazzina è brutale perché ricorda che i nazisti
eliminarono 200 mila handicappati, tra i quali moltissimi Down.
E per questo
equipara la condizione attuale con la volontà nazista di eliminare i bambini
«imperfetti».
Si starebbe dunque operando una selezione della razza anche nei
nostri giorni. La ragazza invoca a nome dei bambini non nati il loro diritto di
vivere («Noi siamo persone!») e chiede d'abolire l'amniocentesi perché a suo
avviso è un esame di eugenetica.
Qualche mese fa in concomitanza con la
Giornata mondiale dei Down (21 marzo) anche Famiglia Cristiana ha affrontato
l'argomento raccontando che in Francia è stata vietata la diffusione di un
video in cui comparivano ragazzi Down che esprimevano la loro gioia di vivere.
Il video è stato di fatto censurato perché a dire dei giudici francesi
disturbava le donne in gravidanza o quelle che avevano già abortito un bambino
con la trisomia 21.
La questione è complessa e drammatica.
Non si tratta di
mettere in discussione la legge che regola l'aborto e consente di decidere di
interrompere la gravidanza in merito alla quale ciascuno può essere d'accordo o
meno.
Qui si segnala un problema ancora più profondo: i genitori che dopo
l'amniocentesi decidono di abortire, non sono quelli che non vogliono il
figlio. Non vogliono il figlio «anormale».
Si potrebbe pensare che desiderino
risparmiare al figlio una vita difficile, piena di ostacoli ma sorge anche il
dubbio che vogliano risparmiare a se stessi il peso di questo figlio che sarà
bisognoso di cure particolari o potrà generare in loro una velata vergogna per
il figlio «diverso».
È curioso che a ciò si accompagnino cori di indignate
proteste se il bambino handicappato è oggetto di insulti, violenze o di
bullismo.
È curioso che ci sia una Giornata Mondiale dedicata ai Down mentre si
può prevedere che nel giro di pochi anni questi soggetti non ci saranno più.
C'è dunque differenza di valore tra il bambino nato Down e il bambino che lo
sarebbe stato: il primo è giustamente amato, valorizzato.
Deve poter godere di
tutte le opportunità della vita «normale».
Deve essere rispettato e inserito
nella società non meno degli altri. Il secondo semplicemente non nasce.
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